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Agipress – 110208 – 10/2 alla Provincia di Firenze

Il Consiglio provinciale, riunito in seduta solenne, ha celebrato “Il Giorno del Ricordo” alla presenza del professor Stelio Spadaro, docente di lettere e filosofia a Trieste ed ex assessore provinciale alla cultura della Provincia di Trieste. Il Consiglio ha approvato, con 30 voti a favore e due astensioni di Rifondazione Comunista una risoluzione che impegna il Consiglio a farsi promotore di una energica azione di riscoperta e divulgazione delle vicende attinenti le terre italiane di Istria e Dalmazia al fine di costruire un percorso culturale e storico comune all’intera Nazione. Condanna l’uso della violenza come strumento di risoluzione dei conflitti e quelle forme di nazionalismo rivolte ad alimentare l’odio etnico ed a legittimare anche politicamente azioni di forza nei confronti di altre comunità; invita la Giunta a voler intraprendere appropriate iniziative affinché le vicende storiche qui ricordate trovino adeguato riscontro nei programmi scolastici e nelle iniziative didattiche delle Scuole; a realizzare in proprio iniziative e cerimonie con le quali ricordare l’esodo dalle loro terre dei cittadini istriani, dalmati e fiumani ed in particolare di quelli che hanno scelto Firenze e la sua provincia come loro nuova dimora.
Nell’intervento introduttivo il Presidente Massimo Mattei ha ricordato che: “Il Giorno del Ricordo è stato istituito con la legge 92 del 30 marzo 2004. In realtà, questa legge era già stata pensata nel 2001, quando c’era una maggioranza diversa in Parlamento e fu soltanto un problema tra le due Camere che non fece approvare definitivamente la legge. La legge, infatti, fu approvata dalla Camera dei Deputati, ma non arrivò in Senato perché ci fu lo scioglimento della legislatura. Questo a far capire che “Il Giorno del Ricordo” è un momento di riflessione che interessa tutti al di là delle maggioranze che poi hanno approvato la legge. È una ferita crudele, che ancora non è stata sanata, che ha fatto soffrire tanti italiani, che si sono visti privati della casa, della loro terra, dei loro averi; una tragedia che ancora non ha trovato la sua degna conclusione e che, per citare l’intervento del Presidente della Camera che mi sembrava particolarmente significativo, che ha detto che la vicenda degli esuli Giuliano–Dalmati è una delle pagine più drammatiche della nostra storia recente, ha segnato la tormentata storia del confine orientale attraverso una lunga sequenza di eventi tragici in cui lo scontro ideologico si è unito all’intolleranza etnica, gli orrori della guerra alla follia dei totalitarismi; e poi, ricordando davanti al prof. Toth che, tra l’altro, proprio l’anno scorso fu ospite di questo Consiglio provinciale, oggi in ricordo della dignità vilipesa di quei nostri connazionali fa parte a pieno titolo del patrimonio comune di fatti, di valori e di principi che consente a tutte le nazioni, a tutti gli italiani e italiane di riconoscersi parte di una medesima collettività”.
Il professor Stelio Spadaro ha iniziato il suo intervento citando il poeta ed intellettuale Giuliano Biagio Marin: “Se ci avessero detto: “Siamo a terra, cercate di resistere nel miglior modo possibile”, noi avremmo accettato qualsiasi sacrificio, ma invece hanno detto: “Abbiamo perso la guerra, e voi e la vostra, la vostra, non la nostra, terra siete il prezzo con il quale intendiamo pagare le nostre colpe, riscattare la nostra pace”. Questo è quanto scriveva Biagio Marin, poeta, intellettuale Giuliano nell’immediato dopoguerra. Dovevano passare molti anni prima che nel 2004 il Parlamento italiano, a stragrande maggioranza, approvasse la legge sul “Giorno del Ricordo”. Con quell’atto la tragedia del confine orientale, le Foibe, l’esodo degli italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia erano riconosciute dalla Repubblica come eventi riguardanti l’intera Nazione, non più soltanto la periferia direttamente colpita. Ma a lungo la considerazione di Biagio Marin risultò inascoltata. Ma quella memoria è stata salvata, quelle sofferenze sono riemerse dall’oblio con fatica, insieme agli altri pezzi del mosaico Giuliano, tra guerra e dopoguerra, l’aggressione della Jugoslavia da parte dell’Italia fascista, dopo venti anni di sistematica oppressione degli sloveni e dei croati della Venezia Giulia e l’efferatezza delle Foibe, una violenza non soltanto spontanea e reattiva, come per anni una certa accademia dell’ideologia ha amato ripetere, ma più sostanzialmente politica, pianificata, con elenchi che abbiamo a disposizione, collegata alla costruzione rivoluzionaria dello Stato comunista in Jugoslavia, nel quale stato comunista, in Jugoslavia, la componente italiana era vista dai vertici del nuovo potere come un problema affrontato e risolto in un mix di ideologie e di nazionalismo che durò più di un decennio. Ma con uguale tranquillità e fermezza, più di una parola va spesa sulle pesanti complicità del Partito Comunista Italiano. Non solo è mancata una lealtà di base verso i propri connazionali uccisi e perseguitati in massa, non solo si è ostentata estraneità per le ferite patite dall’Italia sul fianco orientale come se fosse un’altra storia, fosse una colonia balcanica, e non era così, ma il deficit ha coinvolto qualcosa di profondo. Nella tutela e nella gestione della memoria delle Foibe e dell’esodo, la destra nel dopoguerra ha fatto il suo dovere di destra, ha formulato discorsi spesso il più delle volte regressivamente recriminatori che alimentavano le tradizioni anziché risolverle, che cercavano di difendere l’indifendibile, un ventennio indifendibile, ma non lo stesso si può dire per una parte cospicua della sinistra, perché essa ha tradito su questo terreno una delle sue vocazioni principali: quella dell’ascolto e della solidarietà, è ciò che si dice quando deve essere detto con lucido bilancio delle cose. Il vuoto di dialogo tra la Venezia Giulia e una sinistra incapace di ascoltare ha rappresentato uno dei fattori che maggiormente hanno ostacolato l’insediamento di questa Regione all’interno della coscienza repubblicana e ha minato e indebolito il significato di quella tragedia e di quelle vicende e ha, allo stesso tempo, rimosso il problema del costo che i Giuliani hanno pagato per la guerra di aggressione del fascismo. Ma non solo a sinistra si è evitata una riflessione aperta. Come denunciava Marin si è trattato di un vuoto molto più ampio, un vuoto che affonda antiche radici nella debole coscienza nazionale del Paese, e ha avuto diverse ricadute. Prima di tutto, ignorare il dato della distruzione della Venezia Giulia, dimenticare l’esodo ha significato cancellare dalla memoria nazionale la grande civiltà, la vittima di lingua italiana dell’Adriatico orientale. E io dico questo con molta tranquillità, in una città come Firenze, perché so che le vicende degli italiani della costa orientale dell’Adriatico qui a Firenze è nota e la città è una terra adatta a capire bene di cosa sto parlando, i rapporti intellettuali, civili, morali degli intellettuali Giuliani con Firenze dura tutto il ‘900. Riflettere sul ‘900 giuliano ci porta a questa conclusione, a pensare alla lezione per oggi: ogni volta che le istituzioni politiche hanno cercato di ridurre o annullare la pluralità nazionale di un territorio, facendosi motore sul piano pubblico di identità monolitiche ed esclusive – e potrei fare un lungo elenco da quando ai bambini sloveni e croati si è impedito di parlare nelle scuole e nei luoghi pubblici sloveno e croato, mandando nell’intervallo le maestre a stare attente che non parlassero sloveno, a quando nel ‘45, ‘46, ‘47, nei vari posti dell’Istria, bisognava solo spiegare ed insegnare lo sloveno e il croato – ogni volta che le istituzioni politiche pubbliche hanno cercato di ridurre o annullare la pluralità nazionale in questo territorio, come tutti i territori facendosi motore sul piano pubblico di identità monolitiche ed esclusive, l’equilibrio delle società locali, e sto parlando in questo caso della Venezia Giulia e della Dalmazia, è venuto meno in modo drammatico questo equilibrio, questo stare insieme, questa capacità di stare insieme; si sono prodotte lacerazioni indelebili, si è alterata violentemente la stessa demografia originaria della regione, il caso dell’esodo dall’Istria e da Fiume è quello più esemplare. E quando e dove, come in questo caso è avvenuto, che i nazionalismi sono stati inglobati nelle strutture totalitarie del fascismo e del comunismo, le forme statali di controllo, di coercizione e negazione dell’altro hanno raggiunto il vertice della loro funesta efficacia. È una lezione che chiede che tutte le pagine di quella vicenda vengano aperte. Molto spesso una pagina, un’efferatezza è stata adoperata contro un’altra efferatezza per giustificare un’altra efferatezza, invece è chiaro che la lezione ci viene significa dire che tutte le pagine devono essere aperte, tutti i misfatti devono essere chiariti ed aperti, questa è la nostra responsabilità di cittadini italiani ed europei. L’auspicio – ha concluso Spadaro – è che la ricorrenza del 10 febbraio serva anche questo: a diffondere nella nostra società, sempre più integrata in chiave europea, una memoria condivisa perlomeno, nei suoi fondamentali caratteri totalitari; sentiremo così più sicura e rafforzata la nostra democrazia, e sappiamo che in un territorio plurale la democrazia è una condizione indispensabile, non è un optional. Io credo, per concludere, che quel richiamo continuo che questi intellettuali giuliani, la cui presenza ho cercato di segnalare, questo richiamo continuo di questi intellettuali, di questi uomini di cultura all’Europa, alla prospettiva europea abbia questo significato intimo proprio: la volontà di un’integrazione che vada oltre le etnie e oltre i totalitarismi.

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