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A lezione di dialetto (Il Piccolo 07 ott)

LETTERE

Qualche anno fa mi capitò di essere tacciata di volgarità per aver detto ai miei figli di spostare la «carega» o che era ora di andare «in paion»… Sul Piccolo del 24.9, in un articolo sulla droga, dei nostrani «s'ciocai» vengono convertiti in molto più trendy «choccati». Forse l’autrice segue la stessa corrente dell’annunciatrice radiofonica che cita con disinvoltura le località di «Sgònico» e «Azzano Ics (numero romano)». Forse c'è veramente bisogno di lezioni di dialetto, tradizioni e toponomastica, non nella scuola dell’obbligo, ma in corsi di aggiornamento per adulti, soprattutto per quelli che si vergognano delle proprie origini, che trovano più fine esprimersi in italiano (quasi sempre maccheronico) e si illudono che così i loro figli diventeranno i primi della classe.

Se penso al dialetto insegnato a scuola, vedo un qualcosa di addomesticato, snaturato e profondamente triste, come degli indiani che si esibiscono con poca convinzione in stanche danze rituali a beneficio dei turisti-polli in visita alla loro riserva.

Ricordo con simpatia un amichetto di mio figlio, di origine pugliese, che lasciò stranita la madre, parlandole di «scovazze» dopo pochi giorni di asilo… I bambini sono spontanei e desiderosi di apprendere e di amalgamarsi, affidiamoci alla loro saggezza!

Annamaria Milievich

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