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Giornale di Brescia – 250907 – Cepich, la storia dei giuliano-dalmati

IL RICORDO di Paolo Corsini

 

Antonio Cepich, per tutti «Tonci», se ne è andato un mese or sono nel silenzio di una Brescia agostana distratta e svagata. Molteplici sono però le ragioni per le quali sento il dovere di ricordarlo con affetto e sincera riconoscenza.

Certamente, in primo luogo, il sentimento di viva gratitudine che l’intera città sente di dover esprimere alla sua straordinaria e feconda presenza sin dal 1945: un rinnovato, corale, ringraziamento per l’impegno profuso negli oltre sessant’anni vissuti da animatore instancabile della comunità zaratina in città, per quanto gli deve la comunità civile dentro la quale ha riverberato la forza e la persuasione della sua nobile missione – perché di questo si è trattato – fatta di costante aiuto, conforto, lenimento delle pene e delle paure delle migliaia di uomini, donne e bambini che dalla città dalmata furono costretti all’esilio ed a costruire il proprio avvenire lontani dalla propria terra.

 

La sua biografia del resto costituisce una pregnante testimonianza di vita della tragedia dei profughi dalmati, dell’accoglienza e del loro inserimento nella nostra città. Dalla immane tragedia della seconda guerra mondiale – con l’internamento nei campi di Polonia, Olanda e Germania e la liberazione da parte delle truppe canadesi nel 1945 – al ritorno nella città di Zara distrutta da violentissimi e ripetuti bombardamenti: questo il fardello di dolore e di speranza che Cepich porta con sé a Brescia, ove la sua famiglia si era da qualche tempo rifugiata, trovando un’accoglienza di fortuna presso la caserma Callegari.

Un luogo che per lunghi quattro anni diviene la sua casa, la casa di centinaia di profughi suoi conterranei. È qui che matura, accanto all’opera della Pontificia Opera di Assistenza, la sua volontà di coordinare questa presenza, collaborando con le istituzioni cittadine per creare un primo punto di riferimento per tutti i rifugiati.

È l’avvocato Salvi, presidente della Pontificia Opera Assistenza di Brescia, che, dopo aver letto un suo accorato appello lanciato dalle colonne del giornale «La Fionda», lo invita a recarsi presso il Vescovo della città, Mons. Giacinto Tredici. È da qui, dalla sua tenacia, dalla sua umiltà, dalla sua determinazione, che si sviluppa il crescente interesse delle istituzioni verso il dramma dei profughi presenti in città, unitamente alla creazione di un primo Comitato di assistenza, nella cui iniziale attività sono coinvolti pure il prefetto Pietro Bulloni ed il Presidente dell’Amministrazione provinciale Arturo Reggio, che insieme dispongono l’elargizione di un primo importante contributo finanziario.

Quel Comitato, da lui presieduto, in previsione dell’imminente arrivo di altri profughi istriani, fiumani e dalmati, allestisce in collaborazione con la Curia vescovile presso la struttura militare della caserma Callegari nuovi locali di prima accoglienza, dotati di cucina e camerate: un’autonoma mobilitazione che commuove e rende ammirati i cittadini tutti, con il Vescovo a rendere disponibile un’ala del seminario in caso di ulteriori necessità e da utilizzare come luogo di incontro e di formazione, ed a partecipare personalmente in occasione di particolari ricorrenze e funzioni.

Nel 1947 il territorio bresciano accoglie diversi nuclei famigliari provenienti dalla città di Pola, che vengono smistati presso i campi profughi di Chiari, Fasano e Bogliaco. Nasce dunque anche a Brescia in modo formale il Comitato Bresciano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, sempre presieduto da Cepich, coadiuvato dalla preziosa collaborazione di diversi amici.

 

Dalla sua inesausta determinazione, dalla sua generosità sgorgheranno negli anni innumerevoli iniziative. Ricordo per esempio, l’erezione presso il cimitero Vantiniano del monumento a perenne ricordo dei caduti, degli infoibati, degli scomparsi lungo l’amaro esilio dalla Patria, per assicurare alla memoria dell’intera città il nome e le speranze di quanti perirono nella scelta dura e implacabile dell’esodo, per rimanere liberi e non sottomessi ad un regime intollerante ed intollerabile, per conservare la propria lingua e le proprie tradizioni.

 

Ed ancora: la sua feconda attività culturale, nel dare vita ad associazioni, organizzare mostre, tenere conferenze, pubblicare volumi dedicati alle sue due città, Brescia e Zara; e, così pure, l’edizione di un ricco periodico informativo, la fondazione dell’Associazione culturale Amici della Dante Alighieri, che significativamente porta la dizione di «Comitato di Zara a Brescia».

Una gravosa attività quotidiana, in cui profondere energie ed intelligenza, laboriosità e tenacia, caratteristiche che sono sempre discese da una profonda, appassionata tensione morale, volta a fornire aiuto e sostegno, ad alimentare la memoria della terra natia.

La comunità bresciana deve, dunque, ad Antonio Cepich profonda gratitudine per una radicata, storica presenza che ha sempre saputo coniugare – secondo lo spirito dei tempi – conforto e aiuto per le esigenze materiali dei profughi dalmati ed attività di informazione, di formazione ed educazione, di proposta culturale, di esempio civile ed attitudine comunitaria.

Una presenza che ha dato luogo altresì ad una sollecitudine mai dismessa per promuovere valori democratici e civili, a garanzia di progresso, di una integrazione all’insegna di esperienze positive condivise, nella necessità di elargire spazio alla memoria ed attribuire senso al futuro. Caro Antonio, carissimo Tonci, il tuo ricordo non verrà obliato, nella profondità di un sentimento e di una grata memoria per la tua preziosa eredità, un’eredità che appartiene oggi all’intera comunità bresciana.

 

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