30 aprile 1945, l’effimera Liberazione di Trieste

Nella ricorrenza del 79° Anniversario dell’insurrezione di Trieste,  martedì 30 aprile al Cippo della Resistenza, nel Parco della Rimembranza sul Colle di San Giusto, si è svolta la tradizionale cerimonia commemorativa organizzata dalla Federazione Grigioverde, con la deposizione di corone di alloro e qualche breve discorso. Alla cerimonia erano presenti autorità locali, il Gonfalone della Città di Trieste ed una rappresentanza delle Associazioni combattentistiche e d’arma con i labari. [Trieste Cafè – 30/04/2024]

La mattina di quel 30 aprile, infatti, i triestini si svegliarono con il fischio delle sirene antiaeree che però non preannunciavano un bombardamento anglo-americano, bensì l’inizio della rivolta cittadina contro la presenza nazista, che nella Venezia Giulia era stata ancor più invasiva rispetto al resto d’Italia a causa della costituzione della Zona di Operazioni Litorale Adriatico, un governatorato militare che aveva tra l’altro messo in funzione il campo di detenzione della Risiera di San Sabba, ove si erano protratte fino alla morte torture di partigiani fatti prigionieri e da cui erano partiti treni diretti ai campi di concentramento. La comunità ebraica cittadina era stata quasi annientata dalle deportazioni, il movimento resistenziale aveva visto molti suoi leader e combattenti uccisi al termine di cruenti interrogatori o deportati. Il Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste aveva inoltre visto l’uscita dai propri ranghi dei rappresentanti del Partito Comunista Italiano, i quali avevano preferito associarsi al Fronte di Liberazione sloveno dopo che erano stati eliminati alla Risiera appunto i suoi vertici contrari alle tesi annessionistiche nei confronti della Venezia Giulia portate avanti dai comunisti sloveni e croati. Delazioni e retate della polizia militare tedesca avevano ridotto ai minimi termini l’attività del CLN triestino, esecuzioni di massa tramite fucilazioni e la terribile impiccagione di 51 carcerati alle scale di Palazzo Rittmeyer, oggi sede del Conservatorio Tartini e all’epoca Casa del Soldato tedesco, la quale fu colpita da un attentato che scatenò la spietata rappresaglia: oltre alle operazioni antiguerriglia orchestrate secondo i dettami del famigerato fascicolo Bandenkampf, l’occupazione tedesca del capoluogo giuliano ben presto dimostrò il suo volto cruento che strideva con le promesse di restituire al porto i fasti dell’epoca asburgica come sbocco all’Adriatico del millenario Reich tedesco.

Il 30 aprile fu per Trieste quel che rappresentò il 25 aprile per il resto dell’Italia settentrionale: l’uscita allo scoperto nel perimetro urbano delle brigate partigiane, lo scontro frontale con le truppe tedesche e la riscossa in nome della libertà, dell’antifascismo e della speranza di costruire una nuova Italia democratica. Fu la giornata di Edoardo Marzari, sacerdote istriano e leader del CLN triestino che era stato fatto evadere pochi giorni prima dalle carceri cittadine del Coroneo. Fu l’insurrezione guidata dal colonnello Antonio Fonda Savio, già volontario irredento della Prima Guerra Mondiale che vide morire nei combattimenti di quel giorno il terzo figlio dopo che i primi due erano caduti sul fronte russo. Fu il momento in cui girarono le armi conto i tedeschi i Volontari della Libertà che nei mesi precedenti si erano infiltrati nella Guardia Civica, ricevendo armi ed un addestramento basilare nel corpo di polizia su base volontaria istituita dal Podestà Cesare Pagnini anche con l’obiettivo di scongiurare arruolamenti coatti o inquadramenti nell’organizzazione Todt, impegnata nella costruzione delle difese tedesche. Fu il giorno in cui gli uomini della Guardia di Finanza misero le proprie armi a disposizione degli insorti e combatterono assieme a loro ottenendo a fine giornata il controllo della città. Furono le ore in cui il Vescovo Antonio Santin fece da mediatore fra insorti e occupanti ed assurse a Defensor Civitatis impedendo che i tedeschi facessero esplodere il porto (come invece avvenne a Fiume) nè prendessero a cannonate la città dalle alture di cui avevano ancora il controllo.

Sull’altipiano carsico e nelle periferie cittadine avevano combattuto formazioni partigiane slovene e comuniste, nel centro cittadino si erano impegnate le unità che conciliavano antifascismo e patriottismo, lotta contro i nazisti e aspirazioni alla democrazia. Alla sera le truppe tedesche risultavano asserragliate nel tribunale, nel castello di San Giusto, nel Porto Vecchio e nel Tribunale, in attesa di arrendersi ad un esercito regolare. Stavano infatti arrivando dalla pianura veneta le colonne anglo-americane, che puntavano al controllo del porto di Trieste come scalo di riferimento, sfruttando le infrastrutture ferroviarie retaggio della dominazione asburgica, per far giungere i rifornimenti per le truppe che avrebbero preso il controllo dell’Austria e della Germania meridionale. Ma a differenza di quanto avvenuto nel resto d’Italia, non erano i soli in marcia verso Trieste.

Da est si avvicinava il IX Corpus dell’esercito partigiano jugoslavo: Tito aveva dato ordine di trascurare la liberazione di città come Lubiana e Zagabria, la cui appartenenza alla nascente Jugoslavia comunista nessuno avrebbe messo in discussione, poichè la priorità era trasformare la guerra di liberazione dall’occupante straniero in lotta per l’allargamento dei confini del vecchio Regno di Jugoslavia, con particolare riferimento alle zone in cui vi erano comunità slovene e croate, anche minoritarie. Quindi gli obiettivi non erano solo l’entroterra di Gorizia, Trieste e Fiume e l’Istria interna, abitati soprattutto da popolazioni slave che avevano resistito al processo di nazionalizzazione delle masse attuato dal regime fascista, ma anche i centri urbani e costieri abitati in maggioranza da italiani. L’occupazione di questo territorio  accompagnata dall’epurazione politica degli oppositori a tale progetto sarebbe stata una caparra in vista della Conferenza di Pace che avrebbe dovuto ratificare l’annessione.

Alle prime luci dell’alba del primo maggio 1945 quella che è stata definita “la corsa per Trieste” vide giungere per prime le avanguardie jugoslave che si erano aperte la strada combattendo contro le divisioni tedesche che cercavano di raggiungere le colonne in ritirata verso l’Austria, mentre ponti abbattuti ed altri episodi bene orchestrati avevano rallentato l’avanzata degli Alleati, giunti in città alcune ore dopo. Winston Churchill potè dire “abbiamo messo un piede nella porta”, intendendo che la città non era sotto il pieno controllo jugoslavo: ciò non bastò per scongiurare l’inizio di una nuova cruenta occupazione straniera a guerra finita.

Per Quaranta giorni coloro i quali Palmiro Togliatti aveva invitato ad accogliere come “liberatori” compirono non solo una caccia all’uomo nei confronti dei fascisti e dei collaborazionisti dei nazisti, ma anche proclamarono l’annessione alla Jugoslavia eliminando chi si opponeva. Nelle foibe del Carso triestino e nel pozzo della miniera di Basovizza vennero scaraventati spesso ancora vivi coloro i quali improvvisati tribunali del popolo avevano riconosciuto colpevoli, colonne di prigionieri vennero avviate con estenuanti marce forzate verso campi di concentramento allestiti nel territorio sloveno e pochi avrebbero fatto ritorno. Le manifestazioni di italianità venivano represse nel sangue con morti e feriti, gli informatori locali dell’OZNA, la polizia segreta titina, davano indicazioni su chi prelevare e gli stessi vertici e militanti del CLN furono costretti a tornare in clandestinità.

Il 30 aprile 1945 Trieste respirò la libertà, l’1 maggio sprofondò di nuovo sotto occupazione straniera iniziando un complesso percorso diplomatico che si sarebbe concluso con il ritorno dell’amministrazione civile italiana appena il 26 ottobre 1954.

Lorenzo Salimbeni

La cerimonia commemorativa del 30 aprile

 

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