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30 ago – Radivo replica al CorSera: falsità di Pahor su Oberdan

Riportiamo la lettera al Corriere della Sera, inviata da Paolo Radivo, giornalista e collaboratore de "L'Arenda di Pola".

 

Gentile Direttore,

nell’articolo “In piazza Oberdan ho perso l’innocenza” apparso sul “Corriere della Sera” il 24 agosto alle pagine 36-37 Boris Pahor afferma che «il primo a tradire la propria identità fu Wilhelm Oberdank». «In realtà – aggiunge lo scrittore – il patriota che fallì l’attentato all’imperatore Francesco Giuseppe, incarcerato e impiccato, era un poveraccio. Figlio illegittimo di Josepha Maria Oberdank, slovena di Gorizia, si arruolò tra le file degli sfegatati nazionalisti, dopo che volle a tutti i costi italianizzarsi, tagliando la k al suo cognome». Nel brano tratto dal suo nuovo libro Piazza Oberdan Pahor aggiunge: «pare che questi, prima di morire, abbia addirittura sputato sul crocefisso». In una didascalia si dice poi che Oberdan era figlio di «una donna slovena» e che venne impiccato «per aver progettato un attentato contro Francesco Giuseppe».

In realtà il 24enne impiccato il 20 dicembre 1882 non era di madrelingua slovena. La madre si chiamava Gioseffa Maria (detta Giuseppina) Oberdank (indicata talvolta come Oberdanck od Oberdanch), nata a Gorizia da un calzolaio sloveno trasferitosi dal vicino villaggio di Sambasso (Šempas). In famiglia Gioseffa Maria parlava il dialetto goriziano e a partire dai 14 anni fece la domestica in varie famiglie italofone a Cherso e Trieste. Il padre naturale di Guglielmo era Valentino Falcier (o Falzier), nato a Noventa di Piave (Venezia). Dionisio Guglielmo Carlo Oberdank fu battezzato nella chiesa di Sant’Antonio Nuovo a Trieste il 7 febbraio 1858. La sua lingua materna fu il dialetto triestino, tanto più che nel 1862 la madre si sposò con l’italofono Francesco Ferencich. In seguito frequentò scuole italiane.

Il 16 luglio 1878 Guglielmo disertò dall’esercito asburgico rifugiandosi nel Regno d’Italia per non partecipare alla repressione della rivolta indipendentista in Bosnia-Erzegovina: dunque per solidarietà con quel popolo slavo. Mai nella sua breve vita pronunciò una sola parola contro gli slavi. Da patriota democratico garibaldino-mazziniano fu ostile solo all’imperialismo asburgico e negli ultimi anni a Roma preferì firmarsi senza la k affinché il suo cognome apparisse meno austriaco, non meno sloveno. In tedesco infatti Oberdank significherebbe “gratitudine (ringraziamento o riconoscenza) superiore” o anche “gratitudine del cameriere”.

Nel 1882 fu condannato al capestro «per il crimine d’alto tradimento, dell’opposizione ad una guardia militare e della prima diserzione in tempo di pace, nonché per la contravvenzione alla patente delle armi». Non commise alcun attentato, ma si autoaccusò di averlo voluto compiere per provocare una guerra che portasse alla liberazione di Trieste. Suo bersaglio era l’imperatore, simbolo dell’oppressione nazionale nell’Impero Austro-Ungarico, non gli slavi.

In quanto libero pensatore rifiutò i conforti religiosi prima dell’esecuzione, ma non sputò sul crocifisso. Del resto un confidente dell’Ambasciata austro-ungarica di Roma riferì il 13 ottobre 1882 parlando della vita di Oberdan nella capitale: «Alla parete presso il suo letto aveva attaccate le immagini di Gesù Cristo e di Garibaldi, che aveva riunite sotto la scrittura “Due galantuomini”».

Paolo Radivo

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