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Padre Flaminio Rocchi in inglese: un’edizione inadeguata e approssimativa – 28 lug

Una lunga gestazione per un’edizione che, come andremo a vedere, risulta infine discutibile  e francamente deludente sotto diversi ed importanti aspetti. È la prima considerazione che viene da fare a fronte della traduzione in lingua inglese del volume di Padre Flaminio Rocchi L’esodo dei 350 mila giuliani, fiumani e dalmati dovuta a Fra’ Marco Bagnarol e pubblicata ora in Canada sotto l’egida di importanti sodalizi giuliano-dalmati e della Regione Friuli Venezia Giulia, con iol contributo dell’ente EFASCE (Ente Friulano Assistenza Sociale Culturale Emigranti) di Pordenone.

Ma è utile anzitutto ricordare che l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, sotto la cui insegna Padre Rocchi pubblicò le diverse edizioni del suo studio, venne casualmente a conoscenza del progetto di traduzione e solo dopo alcuni contatti avviati dalla Sede nazionale ne ebbe infine conferma. La stessa ANVGD, comunque, in considerazione del rilievo che la traduzione avrebbe donato al libro nel vasto mondo anglosassone, permettendo la divulgazione della storia dei territori ceduti in un ampio contesto geografico, concesse volentieri a titolo gratuito la facoltà di riprodurre il testo nella sua versione inglese.

Ci giunge ora il volume – in copia unica e da un gentile corrispondente d’oltre Oceano (non dall’autore della traduzione) –, la cui veste grafica si distingue per l’aspetto quanto mai dimesso e per nulla curato editorialmente, come si può rapidamente verificare sfogliandone le pagine. Ma su questo risvolto torneremo più avanti.

Da qualche allarmata anticipazione pervenutaci da oltreoceano avevamo appreso di una singolare reticenza del traduttore a chiarire ai lettori di lingua inglese il termine «foiba», che in effetti non compare mai, sostituito dal sostantivo «crepaccio» o «fessura» (inglese «crevice») dal quale discende il curioso neologismo di «increpacciati» («creviced»). Ora, è evidente che nell’idioma inglese il lemma «foiba» non ha un corrispettivo, ma un attento curatore di un’affidabile traduzione è solito introdurre il termine e i suoi relativi significati in una nota esplicativa ai lettori, tanto più che il riferimento alla foiba ha perso ampiamente e sin dalla seconda guerra mondiale  il suo semplice significato geologico e naturalistico per acquisirne uno di grandi e delicate implicazione e complessità storiche: dalle quali l’ignaro fruitore anglo-americano viene tenuto invece totalmente all’oscuro per ragioni francamente incomprensibili. Tanto più che un pamphlet inglese del 1945, riprodotto da Padre Rocchi e presente
quindi anche in questa edizione, usa il termine «foiba» e ne illustra il significato: sorprendentemente, sotto la riproduzione del pamphlet (pag. 49) ne viene trascritta la didascalia, e sostituita la parola «foiba», utilizzata dall’originale del 1945, con i «crevices». Incomprensibile.

Altrove, in alternativa, si legge di «indolinized» e di «indolinizements», supponiamo una fantasiosa variante per «infoibati» e «infoibamenti», ovvero per «increpacciati» e «increpacciamenti», con improprio e del tutto errato riferimento (se tale è) alle doline carsiche, che sono tutt’altra cosa.

Quali le ragioni di questa omissione? Leggerezza, superficialità, inadeguatezza, o timore di usare un termine carico di rimandi e di implicazioni? Al buon traduttore (etimologia: dal latino tradere, «consegnare a», «affidare a», «trasmettere a») spetta l’arduo compito di restituire un testo al meglio, e sanno i traduttori esperti e colti quanta finezza occorra per avvicinarsi allo stile di uno scrittore o per orientarsi nella storia di un diversa area geo-politica, come in questo caso. Qui sembra veramente che l’opera di traduzione sia stata frettolosa e distratta, non adeguatamente formata su un serio approfondimento del contesto trattato.

Che l’edizione sia confezionata alla bell’e meglio risulta evidente sin dalla copertina, e si conferma nelle 667 pagine successive (in realtà la paginazione arriva a 675, tutte bianche) con l’evidente assenza di un minimo progetto grafico e di una minima revisione redazionale, giacché le didascalie slittano allegramente da una pagina all’altra dal momento che il testo “gira” secondo un programma automatico di impaginazione senza che nessun operatore grafico lo abbia risistemato.

Ultima perla: le «Edizioni di Difesa Adriatica» sono tradotte con «Adriatic Defense Editions»: ma quando mai si traduce una testata o la ragione sociale di una casa editrice? Il «Welt» quotidiano di Amburgo diventa forse in italiano «Il Mondo»? E oserebbe l’incauto tradurre l’editore Ponte alle Grazie di Firenze con «The Graces’ Bridge»?

Patrizia C. Hansen
addetto stampa ANVGD

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