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27 set – Muggia: cinque ruote in memoria dell’Esodo

«In questo luogo, dove oggi frettoloso scorre il traffico cittadino, transfrontaliero e turistico, passarono tra il 1944 e la fine degli anni Cinquanta più di 250mila italiani». Così ha detto ieri la presidente della Provincia Maria Teresa Bassa Poropat all'inaugurazione del monumento all'esodo situato sulla rotatoria di innesto tra la strada provinciale delle Noghere con la statale 15 Flavia. Un luogo di passaggio dunque, in cui si inseriscono le cinque ruote del monumento ideato da un giovane architetto campano, Luca Valerio Lonardo, a rappresentare il viaggio degli esuli in fuga.

La ruota dei carri che solca la strada, ma anche simbolo del viaggio, ha aggiunto Bassa Poropat: «Il viaggio come abbandono diventa il viaggio come rinascita. La ruota, elemento principale dell'opera come metafora dei carri e rappresentazione degli ingranaggi della storia». Una storia che ha arricchito le zone che hanno accolto i profughi, ha ricordato il sindaco di Muggia Nerio Nesladek: «Muggia accolse i profughi da Isola, Capodistria, Pirano e lo fece meglio che poté, prima nel campo alle Noghere e poi costruendo un borgo vero e proprio. Non fu solo accoglienza: quegli istriani arricchirono, con il loro lavoro e la loro intelligenza, la nostra comunità. Muggia cercò di non accrescere quel dolore, anzi provò, quando e dove possibile, a lenirlo e superarlo».

Ma l’esodo fu simbolo della catastrofe di quell'italianità adriatica che esisteva da secoli, ha spiegato lo storico Raoul Pupo: «L'esilio forzato della maggior parte dei giuliano dalmati di lingua e cultura italiana è stato l'evento che più ha cambiato la storia delle terre alto-adriatiche dopo quasi venti secoli. La dimensione vera dell'esodo è quella di una tragedia epocale che esprime in pieno la capacità distruttiva della storia del Novecento, il secolo dell'intolleranza».

«Questo è uno dei tanti monumenti per il futuro», ha detto il sottosegretario Roberto Menia: «Anche mia nonna è passata di qui. La ruota può rappresentare anche le generazioni che passano e dirci che la tragedia può diventare speranza. Bisogna fare tesoro della memoria perché l'italianità deve fiorire dove non c'è più. Un tessuto lacerato torna a fiorire quando ciò può accadere in un futuro di pace, fratellanza e giustizia con una ruota che sa creare la memoria».

(i.gh. su Il Piccolo del 27 settembre 2010)

 

 

 

(foto ANVGD Trieste)

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