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26 giu – Menia: i tre Presidenti si rechino anche a Basovizza

di Roberto Menia su Il Secolo d'Italia del 24 giugno 2010

Come tanti altri figli di esuli istriani, quelli che la "patria sì bella e perduta" l'han portata per una vita nel cuore, ho provato commozione e gioia nell'apprendere che, per la prima volta, in un tema di maturità, veniva offerta ai giovani studenti la possibilità di scrivere e riflettere sulle vicende del confine orientale, delle foibe, del grande esodo dei 350mila italiani d'Istria, Quarnaro e Dalmazia. L'hanno scelto in pochi, a indiretta testimonianza di quanto poco ne sappiano gli italiani giovani e meno giovani, di quanto poco ne abbiano parlato i loro insegnanti, e sarebbe curioso ora sapere anche che cosa abbiano scritto quei ragazzi… Comunque sia, anche questa è un'altra piccola pietra miliare nel lungo cammino della verità, della giustizia e della riconciliazione e della coscienza nazionale.

Ma a spegnere gli entusiasmi arrivano subito altre notizie, ancora non ufficiali ma assolutamente attendibili, riferite al prossimo 13 luglio a Trieste. Che succederà quel giorno nel capoluogo giuliano? Ufficialmente si terrà solo un concerto in Piazza dell'Unità d'Italia, diretto da Riccardo Muti: un grande concerto-evento intitolato "Le vie dell'amicizia", che vedrà la presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano assieme ai presidenti di Slovenia e Croazia, Turk e Josipovic. E fin qui tutto bene. Ognuno di noi anela all'amicizia, alla concordia e alla collaborazione fra stati. Il problema è un'altro: il 13 luglio non è una data qualunque. Novant'anni fa a Trieste fu incendiato, al termine di una manifestazione di protesta seguita all'eccidio dei marinai italiani a Spalato, l'Hotel Balkan, o "Narodni dom" (Casa del Popolo in sloveno): l'episodio fu, secondo la vulgata di certa storia addomesticata, l'atto di battesimo del nascente "fascismo di confine", responsabile di quelle violenze antislave per cui ancora oggi l'Italia non ha pagato il conto. È quello stesso filone culturale che fino ad oggi ha negato o giustificato lo sterminio delle foibe e relegato l'esodo istriano ad una banale questione d'emigrazione.

È giusto precisare che oggi l'ex Balkan è sede di una facoltà universitaria dove si tengono i corsi di slavistica. Ebbene, proprio qui, prima del concerto, dovrebbero andare in pellegrinaggio i tre presidenti d'Italia, Slovenia e Croazia, identificando quello come luogo simbolo della violenza da esecrare e della volontà di ricostruire amicizia e fratellanza. L'amicizia si costruisce sulla base della verità e su atti reciproci. Qui io leggo solo un atto unilaterale di sudditanza culturale e politica, inammissibile per noi. Vogliamo rivedere che accadde per davvero e rifletterci? Novant'anni fa il fascismo non era ancora al potere. Le regione dalmata era al centro della battaglia diplomatica per le sorti della stessa, contesa fra l'Italia e il neonato Regno dei Serbi Croati e Sloveni (che diverrà poi Jugoslavia). La presenza di una nave italiana, che fungeva da nave ospedale, nelle acque di Spalato fu considerata dagli yugoslavi una provocazione. I marinai italiani furono attaccati e presi a pistolettate. Morirono il comandante Tommaso Gulli e il motorista Aldo Rossi. Quella nave era la torpediniera "Puglia" che, per chi ne sa qualcosa di storia nazionale, nel 1923 venne donata dalla Regia Marina a Gabriele D'Annunzio: la prua venne quindi inserita dal poeta nel parco del Vittoriale degli Italiani, simbolicamente rivolta verso l'Adriatico. Spalato di allora era una città in cui esisteva ancora una forte presenza italiana, un tempo maggioritaria (l'ultimo podestà italiano, "il mirabile Antonio Bajamonti", ne resse le sorti fino al 1880 e combattè al parlamento di Vienna stupende battaglie per la difesa degli italiani di Dalmazia): oggi a Spalato gli italiani non ci sono più. Il 13 luglio 1920, giunta a Trieste la notizia dell'eccidio di Spalato, fu convocata una manifestazione di protesta in Piazza Unità. Durante la stessa, sotto i portici del Municipio, venne accoltellato a morte il cuoco Giovanni Nini, un "regnicolo" – come si diceva allora – che protestava contro la snazionalizzazione della Dalmazia.

La manifestazione, capeggiata dagli squadristi del nascente Fascio triestino, si spostò allora verso il Balkan, sede delle organizzazioni slovene e yugoslaviste in genere, e vi fu l'assalto allo stesso. L'esercito italiano difese il Balkan con un'intera compagnia al comando del tenente Luigi Casciana che morirà ucciso da una bomba gettata da una finestra dello stesso Balkan. Una terza vittima fu il dott. Roblek, un medico di Lubiana che si gettò dalla finestra senza attendere l'arrivo dei pompieri. Non fu mai appurato chi sia stato a provocare l'incendio: al tempo si disse che furono gli stessi yugoslavisti per impedire di raggiungere documenti e munizioni. Certo è che all'interno del "Narodni dom" era custodita una vera e propria santabarbara che continuò ad esplodere per giorni rendendo difficile il lavoro dei pompieri. Del loro lavoro restano documenti e fotografie che documentano i getti d'acqua smentendo la falsa ricostruzione secondo cui i pompieri tagliarono gli idranti per lasciar bruciare l'edificio "degli slavi".

Quel che è vero è che l'episodio si inserisce in pieno nel conflitto etnico e nazionale che in tutta la zona si protraeva da almeno la metà dell'800, con tafferugli, scontri violenti, pestaggi, atti d'intolleranza. Come correttamente scrisse un anno fa sul "Piccolo" l'avv. Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale, "non si può affidare al Balkan un valore simbolico proiettato nel futuro. L'incendio del Balkan si inserì in una serie di eventi similari: nel 1898 a Santa Croce ed a Duino Aurisina vengono incendiate scuole della Lega Nazionale; il 23 maggio del 1915, in contemporanea, vengono dati alle fiamme a Trieste, la sede del Piccolo, della Ginnastica Triestina e della Lega Nazionale; nel 1928 scuola materna e doposcuola della Lega ad Opicina vengono distrutte (ad opera del gruppo terroristico Orijuna). Un triste elenco di violenze, tutte ascrivibili all'ideologia ottocentesca del nazionalismo. Poi arrivarono le nuove ideologie, quelle del '900, e cioè nazional-socialismo e comunismo. E lasciarono nelle nostre terre, a loro triste memoria, i simboli della Risiera e delle Foibe».

Su queste basi, mi pare evidente che l'omaggio solitario e simbolico al Balkan sia un fuor d'opera. Se si vuol creare un percorso di pacificazione e vera amicizia, lo si faccia nella verità, nella reciprocità e nella giustizia. Se davvero i tre presidenti d'Italia, Slovenia e Croazia, che si ritrovano a Trieste, vogliono lanciare un segnale di pace e amicizia, trovino il modo ed il tempo per andare ad inginocchiarsi a Basovizza e a rendere omaggio ai morti delle foibe. E facciano pure una capatina oltre confine (non c'è più nemmeno la dogana) dove la bimillenaria presenza italiana è stata quasi cancellata dall'esodo cui gli yugoslavi costrinsero migliaia d'italiani e mia madre tra questi. Vadano nella Pirano di Giuseppe Tartini, ascoltino l'eco del suo Trillo del Diavolo, e poi magari nella Capodistria di quel Nazario Sauro che ci insegnò ad essere "sempre, dovunque e prima di tutto italiani".

 

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