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25 gen – Slovenia: censite 585 foibe e fosse comuni

Sette mesi fa, nel disinteresse pressoché generale, il governo della Slovenia che all’epoca tra l’altro era presidente di turno dell’Unione Europea ricevette un rapporto dettagliato su una parte di storia del Paese condotto da una commissione istituita dal ministero. In quel rapporto sono indicati e registrati 585 luoghi dove negli anni tra la seconda guerra mondiale e la fine degli anni ’50 sono state sepolte oltre 100mila vittime dei totalitarismi fascista, nazista e comunista. Nome, luogo e motivo della cattura, luogo di eventuale prigionia, trasferimenti, data e causa di morte: una base fondamentale per ricostruire finalmente senza i pregiudizi della storiografia politica ciò che è successo in quegli anni al confine orientale italiano. Fosse comuni, foibe, campi di prigionia sono tutti registrati in quei faldoni, che però non sono ancora stati resi noti. L’obiettivo del governo sloveno (che dopo le recenti elezioni ha cambiato maggioranza) era quello di dare una risposta agli oltre 200mila famigliari di "vittime dei totalitarismi" che chiedono di conoscere il destino dei loro congiunti e di ottenere eventualmente un risarcimento.

Gli storici, invece, hanno un altro obiettivo: utilizzare questi e altri documenti che finalmente stanno venendo alla luce per scrivere una storia senza visioni di parte. Mettendo insieme le ricerche svolte a est e a ovest del confine, le ricerche viste da sinistra e viste da destra, e arrivare così a una memoria condivisa. Il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, Eduard Ballaman, ha deciso così di garantire l’appoggio istituzionale al tentativo di un gruppo di storici italiani e sloveni che si stanno organizzando per raggiungere questo obiettivo: «Il fatto che nelle foibe siano finiti anche molti sloveni – spiega Ballaman – dimostra che non era solo una questione di slavi contro italiani, ma anche una questione tra comunisti e anticomunisti. Questo potrebbe eliminare alcuni contrasti ideologici tra storici, e togliere diffidenze tra questi Paesi che avevano entrambi motivi di dissidio».

La presidenza del Consiglio regionale ha quindi dato il suo patrocinio, e probabilmente anche un sostegno economico da ricavare tra le pieghe di una finanziaria. Sostegno economico che comunque gli storici in questione non chiedono nè sollecitano: «Siamo a un passo dallo scrivere finalmente la Storia condivisa – dice il ricercatore pordenonese Marco Pirina – ed è molto più importante di qualche piccolo contributo». È più che sufficiente l’appoggio delle istituzioni, della regione Friuli Venezia Giulia e del Veneto che con l’assessore Isi Coppola sta attivandosi per fornire anch’essa il patrocinio; e delle autorità slovene e croate, che finalmente sembrano convinte della necessità di una memoria condivisa. L’ultimo segnale in ordine di tempo l’ha dato proprio alcuni giorni fa il presidente croato Stipe Mesic, che dopo le polemiche di un anno fa con Napolitano ha auspicato «un atto di riconciliazione ufficiale tra Italia, Croazia e Slovenia che onori le vittime innocenti di tutte le parti in causa, a patto però che non vengano messi sullo stesso piano il fascismo e coloro che contro il fascismo avevano combattuto».

Non è questo infatti l’obiettivo degli storici che in questi giorni stanno definendo il piano di lavoro. L’obiettivo è rendere pubbliche tutte le carte, dare un luogo e una data di morte alle vittime di un periodo storico che non è cominciato e finito negli anni dal 1940 al 1945. Con Pirina lavoreranno tra gli altri la ricercatrice del museo di Nova Gorica Natascia Nemec, Mattia Vescovar, Paolo Strazzolini dell’Università di Udine, Annamaria D’Antonio, Ettore Beggiato e molti ricercatori di diverse estrazioni culturali e – perché no – politiche. Con il patrocinio delle istituzioni regionali e nazionali i documenti finora riservati dovranno essere aperti: è il caso di quelli riguardanti una foiba sconosciuta individuata vicino a Fiume sui quali l’allora presidente del consiglio italiano Giuliano Amato aveva posto il segreto di Stato per questioni di opportunità politica.

Negli archivi sloveni sono presenti faldoni di documenti con la registrazione dei presenti in tutti i campi di lavoro nel dopoguerra, atti di entrata, eventuali malattie e morte: oltre confine sono stati individuati 585 luoghi di sepoltura, che contengono circa 100mila persone in gran parte senza identità, detenute fino agli anni Cinquanta. Come il migliaio detenuto nel campo di Maribor, al confine con l’Ungheria: erano quasi tutti di origine istriana. Per ciascuno c’è nome e cognome, e destino. Forse è l’occasione per svelare a chi è sopravvissuto il destino di un congiunto inghiottito nel nulla.

Ario Gervasutti su Il Gazzettino del 23 gennaio

 

 

 

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