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24 dic – Vincenzo Barca premiato a Bergamo

A margine anche un incontro Comitato ANVGD-FederEsuli 

Vincenzo Barca è seduto nelle prime file con tutti gli altri premiati in una delle splendide sale di Palazzo Frizzoni, sede del Comune di Bergamo. Ci sono tutti: autorità, amici e parenti come succede ogni fine anno quando vengono consegnati attestati di benemerenza ai cittadini (ed associazioni) che si sono distinti nell’impegno di una vita o di un singolo episodio, toccando l’eccellenza.

L’abbiamo conosciuto qualche minuto prima che il pubblico entrasse a colmare la sala. E’ un fiumano – questa è la prima cosa che evidenzia – è stato Presidente del Comitato Anvgd di Bergamo del quale continua a far parte nella veste di Presidente onorario, è Presidente dell’associazione che si occupa dei mutilati di guerra ma è al suo lavoro presso il Tribunale, in qualità di direttore della Cancelleria, che ha dedicato gran parte della sua vita e ne va fiero.

Ogni volta che mi affaccio alla porta di quegli uffici – racconta – i colleghi mi accolgono con grandi manifestazioni di affetto. Ho sempre cercato di essere un esempio per gli altri e devo dire che sono stato ricambiato con stima ed affetto. Sa, noi austroungarici dobbiamo dare l’esempio, diceva Ennio Berti, uno dei miei dirigenti che proveniva anche lui dalle nostre terre adriatiche”.

E’ come voler rendere omaggio alle proprie radici?

E alla mia famiglia, retta, di profondi sentimenti patriottici. Mio padre, sottufficiale dei carabinieri, era di stanza a Romans D’Isonzo nella Terza Armata italiana con la quale raggiunse Trieste nel novembre del 1918. Fu lì che vide per la prima volta mia madre. Si chiamava Anita Querincis. Io nacqui nel 1923 in una famiglia che aveva l’italianità nelle vene, il colore del nostro sangue è bianco-rosso-verde. Mio nonno materno allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1915 venne deportato nel campo di concentramento di Katzenauer (Austria) mentre la famiglia, composta dalla moglie e da cinque figli (la maggiore di tredici e la minore di tre anni) venne “sfollata”(questo il termine usato dalle autorità austriache) nel campo di concentramento di Prosnitz in Moravia (Cecoslovacchia) dal quale rientrarono solo nel 1918”.

E Fiume?

La mia famiglia vi si trasferì nel 1931. Abitammo dapprima nella caserma dei Carabinieri Pastrengo in P.zza Cambieri e poi al numero 3 di via Torricelli, rione Braida. Begli anni quelli. Davanti a casa mia abitava una ragazzina che si chiamava Antonietta…è qui, anche oggi con nostra figlia perché nel 1949 è diventata mia moglie”.

Ma è vero che lei non è mai più tornato a Fiume?

E’ vero, non posso immaginare la mia città con un’altra bandiera, mi si spezza il cuore e poi il ricordo è doloroso. Nel ’45 io e mio padre fummo fatti prigionieri dai partigiani di Tito, un calvario che durò sei mesi. Eravamo continuamente in marcia perché non c’era una destinazione precisa e tanto meno strutture organizzate dove farci fermare per cui non si faceva che girare stanchi, abbruttiti dalla fama e dalla disperazione. E, ad un certo punto ci lasciarono liberi perché non sapevano che farsene di noi. Ce ne andammo e fu per sempre”.

Quando arrivò a Bergamo?

Fu nel 1947, reduce da un lungo periodo trascorso in Sanatorio. La prigionia in quel di Delnice mi aveva portato alla tubercolosi. Ci vollero sei anni di cure per scongiurare il peggio, mi fu concessa l’invalidità ed è per questo che mi occupo dei mutilati di guerra”.

Ma una volta a Bergamo prese contatto anche con i giuliano-dalmati…

All’ospedale incontrai il farmacista Antonio Smoiver fiumano come me. Lui, Jana Smoiver e Giovanni Bertossa sono stati al mio fianco in tutti questi anni, abbiamo costituito il Comitato Anvgd di cui il primo presidente è stato Smoiver e portato avanti le iniziative. All’inizio non era certo facile, per i bergamaschi noi esuli eravamo considerati fascisti e basta, è stata dura toglierci di dosso questa etichetta . Ma nella mia veste di Cancelliere del Tribunale di Bergamo e successivamente in veste di Direttore della Cancelleria, mi sono sempre impegnato per far conoscere la Comunità degli esuli sul territorio”.

In che modo?

Difendendo a viso aperto l’italianità, spesso negata, dei cognomi, dei titoli, e i diritti fondamentali come quello del riconoscimento dei documenti ufficiali. Ma anche facendo conoscere la nostra operosità, l’impegno civili, il senso dell’onore e tutto ciò che ci contraddistingue. Volevamo inoltre che fosse fato un riconoscimento tangibile ai morti dell’Istria,Venezia Giulia e Dalmazia per tener vivo il loro ricordo. Così nel gennaio 2008 riuscimmo a collocare in Rocca, luogo sacro al ricordo degli Eroi bergamaschi, un ricordo degli infoibati e dagli italiani di Pola, Fiume e Zara, esuli in Patria e nel mondo. A rappresentare questa memoria ho voluto fosse una pietra proveniente dal Carso che per noi assume tanti significati. Lì hanno combattuto i nostri familiari versando il loro sangue per l’italianità, dal Carso è transitata gran parte della nostra gente verso l’esilio”.

 

Inizia la cerimonia, sfilano i premiati tra gli applausi del pubblico. Nelle prime file anche il Ministro Mirko Tremaglia, bergamasco legato alla sua città in modo forte, che accoglie in un abbraccio Vincenzo Barca e replica la stretta di mano del sindaco Roberto Bruni. La sala accompagna con calore questo momento. Tra il pubblico anche il presidente della Federazione degli Esuli, Renzo Codarin giunto da Trieste per assistere alla cerimonia, accompagnato da Guido Brazzoduro arrivato da Milano ma anche per incontrare la Presidente del Comitato Anvgd che ha raccolto il testimone di Vincenzo Barca, Prof.ssa Maria Elena Depetroni,  triestina, figlia di esuli da Capodistria e Pirano e gli altri componenti del Comitato: Mario Matessich, di Zara , Vicepresidente; Edoardo Uratoriu, di Fiume, Tesoriere; Santa Carloni, di Pola, Consigliere e Laila Nyaguy, di Fiume, Consigliere. Un ospite anche da Lecco, Rinaldo Jurcovich.

Dopo le presentazioni, mentre la folla sta lasciando la sala, il gruppetto si ricompatta per parlare del Comitato Anvgd, della toccante cerimonia che ha visto Vincenzo Barca protagonista ma anche dell’attività che s’intende implementare grazie all’impegno delle seconde generazioni che hanno raccolto l’eredità dei “padri fondatori”.

Si scopre così che i primi sfollati arrivarono a Bergamo ben prima della fine della guerra, nel 1943: una piccola avanguardia destinata man mano ad ingrossarsi. I primi furono i zaratini, che a cavallo del 1945-46 costituirono l'associazione con finalità di assistenza. Nel ’46 arrivarono gli esuli da Fiume e provincia. Nel ’47 i polesi. Il resto è storia di sopravvivenza ed affermazione. E con il passare degli anni la comunità giuliano-dalmata e quella bergamasca impararono ad apprezzarsi. E oggi?

Attualmente l’Associazione conta circa 150 iscritti – spiega la Presidente prof.ssa Maria Elena Depetroni -, anche se gli esuli istriani e giuliano dalmati che arrivarono nella Bergamasca sono molti di più: almeno 1.600. Svolgere un’attività che li coinvolga è una sfida ed una scommessa, ci stiamo lavorando”.

Si discute delle prossime iniziative legate al Giorno del Ricordo ma non soltanto. La volontà di agire c’è, la passione anche e quel desiderio di interrogarsi su ciò che significa oggi la cultura dell’esilio, il legame con la terra d’origine, il recupero ed il mantenimento delle tradizioni, il riconoscimento dell’eccellenza. Un dibattito aperto che spinge a misurarsi con l’inclemenza del tempo che cambia le prospettive ma non, come in questo caso, il fine ultimo: continuare ad esistere attraverso un’identità forte, riconoscibile e riconosciuta.

(Rosanna Turcinovich Giuricin su www.arcipelagoadriatico.it)

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