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23 lug – Ad Halifax da tutto il Canada per rivedere il ”primo approdo”

Ora come allora il tempo è il medesimo. Quando i giuliani, istriani, fiumani e dalmati dai primi anni Cinquanta e fino a metà anni Sessanta, continuarono in varie ondate a raggiungere il Canada, approdarono a Halifax immersa nella nebbia o coperta di neve. La giornata è grigia, piovosa, i contorni della città inghiottiti dall’umidità. I ricordi fluiscono con maggior scioltezza nelle sale del Pier 21, il molo d’approdo che oggi è un grande Museo dell’Immigrazione. La Federazione dei club giuliano-dalmati del Canada ha voluto organizzare qui, sabato 18 luglio, nella città principale della Nuova Scozia, un Raduno per rivedere il luogo dove tutto ebbe inizio e lasciare una testimonianza fermata su delle targhe realizzate grazie all’appoggio del Consiglio regionale FVG e del suo Presidente Edouard Ballaman.

Ad accoglierli nella grande sala riunioni del Museo, il Console italiano Rodolfo Meloni, le autorità comunali e i dirigenti del Museo stesso. Numerosi  i messaggi giunti da autorità ed amici per una celebrazione ufficiale semplice. Importante il saluto del Presidente della Regione FVG Renzo Tondo che ribadisce “Ho colto volentieri l’invito dell’Associazione Giuliani nel Mondo ad essere partecipe al vostro raduno attraverso questo pur breve messaggio.  E’ un saluto nel quale esprimo sentimenti di vicinanza e di solidarietà con quanti, come voi o i vostri genitori, hanno lasciato le terre giuliane o dalmate in momenti molto difficili. E’ una solidarietà che diventa oggi una stretta di mano con persone che, superati quei momenti, hanno saputo diventare partecipi della vita e dello sviluppo della terra canadese, che le ha accolte. La vostra stessa presenza al raduno dice che non avete dimenticato le vostre origini, rendendovi di fatto un importante punto di collegamento tra noi e la società del Canada. Non è retorica dire che gli emigrati di un tempo sono diventati i nostri primi rappresentanti in questo grande Paese attraverso il loro lavoro e le loro attività. Non dimentichiamo questa realtà, così come non dimentichiamo la strada percorsa nel passato, che ha attraversato quel “Pier 21” , il molo di Halifax vissuto come porta della speranza  verso una vita migliore, diventato luogo della memoria dell’emigrazione. La nostra ideale stretta di mano è segno di profonda amicizia, ma anche di impegno a collaborare per un futuro migliore delle vostre famiglie e della terra che a loro ha dato origine”.

Applaudono i cento e venti convenuti durante un incontro che si è focalizzato sullo scoprimenti di due targhe ricordo che entreranno a far parte del fondo del Museo e che testimoniano il passaggio di queste genti dal porto canadese da dove tutti proseguirono verso le grandi e piccole città dell’Ontario e del Quebec e qualcuno attraversò il continente  per stabilirsi a Vancouver, su un altro Oceano. Sono racconti che captiamo dagli interventi ufficiali di Konrad Eisenbichler, Presidente della Federazione, Antonio Perini, Vice Presidente ma soprattutto dai partecipanti che girano nei corridoi e nelle sale del Museo per cercare di ricordare, ma solo pochi frammenti riemergono. Gli anziani di allora non ci sono più, scomparsi o troppo in là con gli anni per partecipare al Raduno, i figli erano ancora piccoli per avere dei ricordi precisi, qualche flash come il bianco manto nevoso in riva al mare e il lungo viaggio in treno sistemati su dure panche di legno, la rudezza dei funzionari che li avevano colti, la cura con cui i loro genitori li avevano preparati al viaggio facendoli indossare  gli abiti migliori perché bisognava presentarsi “in ordine” nel nuovo mondo.  Tutti hanno voglia di raccontare anche se poi le esperienze dei singoli non si diversificano se non in alcune sensazioni.

Al momento delle foto salgono sul palcoscenico a gruppi, a seconda dell’anno di arrivo in modo da comporre un’onda, poche persone nei primi anni cinquanta, poi la massa a metà decennio ed infine un graduale spegnersi dell’afflusso fino ad arrestarsi: sono trascorsi sessant’anni da allora. Dappertutto nel Museo le valigie di cartone accompagnano la visita, le fotografie fermano un’epoca. La gente, in quegli anni, arrivò a Halifax da tutta l’Europa dell’Est. Ma il Pier 21 fu solo l’inizio, dopo, con fatica, ognuno cercò di costruirsi una propria dimensione. Il Canada per le nostre genti è stata una promessa mantenuta – così come sottolineato dal rappresentante dell’Associazione Giuliani nel Mondo, Rosanna Turcinovich Giuricin, a nome del Presidente Dario Locchi.

“Con grande attenzione – ha detto – la Regione FVG segue la vostra attività anche per tutto ciò che significa il percorso che avete compiuto dagli anni Cinquanta ad oggi, iniziato proprio dal luogo in cui oggi ci troviamo e che ci appare pieno di voci e di ricordi, di testimonianze e di speranze. Sfogliando con attenzione, durante la mia ultima visita a Toronto (nell’ottobre dell’anno scorso) le collezioni del foglio d’informazione El Boletin che tutti voi conoscete, ho trovato al suo interno e nei documenti fornitimi da Wanda Bortolato Stefani e da Konrad Eisenbichler, alcuni dati molto interessanti: primo fra tutti quello sui primi giornalini, quasi dei piccoli proclami, redatti in maniera molto pionieristica a bordo delle navi che portavano i giuliano-dalmati in Canada. Colpisce l’entusiasmo che emanavano, stimolato dalla giovane età dei suoi redattori, dal fatto di condividere un viaggio che era comunque avventura e voglia di osare, il tutto anche per scacciare pensieri di nostalgia o di rimpianto per ciò che ognuno s’era lasciato alle spalle. Questo Paese vi ha accolti pieno di promesse in gran parte mantenute, tanto che già nel ’72, sempre su El Boletin si legge una notizia di estremo interesse: la proposta di portare in Canada i parenti rimasti in  Europa perché prendessero coscienza di ciò che avevate raggiunto. Questa proposta segna idealmente lo spartiacque tra la battaglia per l’affermazione in una nuova società e la sensazione di aver conquistato il proprio posto nel nuovo mondo. Voi siete stati in grado di trasformare la sofferenza in speranza e la tradizione di un popolo lavoratore in un successo per la vita. Ecco perché siete diventati per tutti un esempio di cui essere orgogliosi, quelli che ce l’hanno fatta in barba alla storia, all’inclemenza dei tempi e all’ingiustizia delle politiche. Oggi il 10 Febbraio è diventato anche per voi un’occasione per farvi conoscere dal mondo che vi circonda”.

Ma c’è un compito importante, una sfida che parte ancora una volta, idealmente, da questo luogo, da dove tutto ebbe inizio: ed è la consapevolezza che bisogna dare un futuro a tutto ciò che ha rappresentato e rappresenta la realtà dei giuliano-dalmati in questo Paese, da italiani, da giuliano-dalmati, come appartenenti ad un popolo sparso che ha alle spalle storia, tradizioni, civiltà, cultura da salvaguardare  e far conoscere. Non è un compito facile, il mondo che li circonda inghiotte molti tentativi di legare figli e nipoti anche alla cultura delle origini. Ebbene in un mondo che riconosce sempre più l’importanza delle minoranze linguistiche e culturali – e il Canada è un chiaro esempio di questa scelta – è fondamentale creare le premesse per dare alla realtà giuliano-dalmata un futuro.

Ecco perché anche nel corso dell’ultima Assemblea dell’ Associazione dei Giuliani nel Mondo a Trieste si è discusso di progetti rivolti ai giovani perché, con il contributo della Regione FVG, delle scuole e dell’intellighenzia giuliano-dalmata, si riescano a produrre occasioni e strumenti adatti al mantenimento di un’identità specifica.

La giornata si chiude con la cena di gala in una sala elegante in cui si espandono musiche popolari, spesso in un canto trascinato che stride con l’ambiente ma che improvvisamente scioglie le rigidità del protocollo e scatena la voglia di stare insieme. “Arrivati in Canada – ci raccontano – le nostre famiglie vivevano fianco a fianco in un rapporto di stretta amicizia ma poi gli anziani se ne sono andati, si sono create nuove famiglie e sono sorti nuovi interessi e questi legami si sono dissolti, peccato, era una grande ricchezza, qualcosa che ci dava forza, sostegno”. Si avverte una sorta di rimpianto e la ricerca di qualcosa da recuperare. Erminia Dionis Bernobi ha voluto inviare al Raduno un suo abito, ricamato con pajettes a significare un legame di tante piccole tessere che rappresentano la nostra gente sparsa nel mondo con un chiaro richiamo alla forza dell’ingegno, dell’arte, della creatività in grado di creare nuove unioni, nuove opportunità d’incontro e conoscenza. Superata la nostalgia, sedati i ricordi, forse l’imprenditorialità condivisa potrebbe diventare una chiave per il futuro.

(fonte www.arcipelagoadriatico.it)

 

 

 

(Scoprimento della targa che ricorda l'arrivo dei giuliano-dalmati al Pier 21, porta marittima del Canada per l'immigrazione)

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