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2013, l’anno di Padre Flaminio Rocchi (14) – 16mag13

In questa 14esima puntata sulla vita di Padre Flaminio Rocchi, l’Apostolo degli Esuli, i rapporti con la stampa ed in particolare alcune interviste rilasciate nel corso degli anni. I testi sono tratti dal libro “Padre Flaminio Rocchi: l’uomo, il francescano, l’esule” edito dall’ANVGD.

 

I link delle puntata precedenti sono dopo la fotografia.

 

Per decenni la Storia degli italiani Esuli in patria è stata completamente ignorata. La guerra etnica nella ex Jugoslavia, pur nella sua tragedia, ha richiamato l’interesse dei media su quanto di simile fosse accaduto alle nostre genti. Ecco l’intervista di Giulio Raiola a Padre Flaminio sul quotidiano Il Tempo il 5 gennaio del 1992.

«[…] Il momento peggiore? Fu quando ci cacciarono dalle nostre terre con una violenza e una ferocia inaudita. Come lei vede da quanto oggi accade fra Serbi e Croati (eravamo all’inizio della disgregazione della Jugoslavia n.d.r.), si tratta di una loro vecchia abitudine, la storia si ripete.»

 

E’ un uomo non grande, ma il viso ispira energia e, in qualche modo, caparbietà. L’abito talare sembra stargli stretto, ma si deve considerare che combatte da quarant’anni una dura battaglia. Si chiama Padre Flaminio Rocchi, è il prete degli esuli giuliani.

 

«Poi hanno cercato di far passare alla storia una versione falsa del nostro esodo, dicendo che i 350mila profughi giuliani erano solo poveri emigranti i quali, avendo la guerra distrutto i loro beni e le case, erano venuti in Italia costretti dal bisogno. Chi era rimasto, invece, lo aveva fatto per conservare l’italianità di quelle terre. Adesso, dopo la grande ubriacatura marxista, tutto è cambiato e anche chi ci insultò quando partivamo, guarda oggi all’Italia.»

 

E ora parliamo con Padre Rocchi del futuro, delle aspettative, del destino di quelle terre. Che cosa chiedono i 350mila: l’autonomia per l’Istria e Fiume o il ritorno puro e semplice all’Italia?

 

«Il ritorno è difficile. De Michelis, avvedutamente ha incominciato parlando dell’unità, della specificità di quelle zone. I trattati (1947 e soprattutto 1975) sono stati estremamente ingiusti. De Gasperi diceva che essi tenevano in conto “l’istituto barbarico dell’usurpatore”. Lo stesso Nenni diceva: “Firmiamo il trattato, poi ne chiederemo la revisione”. Nel ’75 hanno regalato alla Jugoslavia la Zona B, dopo aver pagato tutti i debiti e date tutte le case, i beni, le navi ecc. Noi dovremmo chiedere la revisione di questi trattati e, per esempio, rettifiche di confine a Gorizia dove la frontiera taglia in due le case, l’acquedotto, il cimitero ebraico. Lo sa lei che mentre venivano tracciate le linee di confine dalle commissioni internazionali, di notte gli slavi spostavano i paletti e così si appropriarono di altra terra nostra? Pochi sanno che in Zona B, nel 1954, Tito chiese improvvisamente una modifica di confine e noi regalammo, senza aprir bocca, 6 miglia quadrate di terreno con diversi paesetti per un totale di 13mila abitanti, che se ne vennero subito via, dando luogo a un altro piccolo esodo a nove anni dalla fine della guerra. Poi c’è la faccenda delle case lasciate: gli aventi diritto sono oltre 35mila. Dovremmo chiedere che possano riavere la proprietà di quei loro beni o almeno dar loro la possibilità di ricomprarli.»

 

Padre Flaminio è un vulcano di iniziative. Soltanto a Roma ci sono 15mila profughi giuliani. E’ stata messa su una biblioteca specializzata nella storia dell’Istria, di Fiume e di Zara, un centro culturale dove ha trovato sede anche l’Orchestra Tartini. Al centro del villaggio giuliano per 2.000 persone c’è la lupa romana che la Capitale aveva regalato a Pola e che gli istriani hanno riportato qui. Padre Rocchi è anche autore di uno straordinario libro dedicato all’esodo. Sono 650 pagine. L’idea di scriverlo gli venne, come lui ci spiega, “sul lavoro”.

 

«Lavoro da quarantasei anni per i profughi in quattro commissioni ministeriali. Ho esaminato circa 140mila fascicoli di giuliani e vi ho trovato atti notori con autentiche tragedie documentate davanti a un notaio. Sono stato confortato nell’idea di scrivere il libro, da uomini come il senatore Leo Valiani, fiumano, antifascista. Valiani si chiedeva: “Perché sono stati uccisi i senatori Riccardo Gigante di Fiume e Icilio Bacci? Erano dei galantuomini. Perché hanno ammazzato il mio amico poliomelitico Mario Blasich, antifascista come me? Perché hanno ammazzato l’ebreo Angelo Adam appena rientrato da Dachau?”. La leggenda dei giuliani tutti fascisti è stata scritta e imposta dai comunisti. Sa chi aveva capito tutto? Luigi Einaudi. Egli propose che i 32mila profughi di Pola venissero trasferiti in blocco in Alto Adige, per mantenere la loro identità. Ma qualche altro personaggio della politica italiana disse no: “Questa gente fugge da una Jugoslavia democratica e vincitrice e viene in un’Italia ex fascista che ha perso la guerra. Ha tre milioni di disoccupati, quattrocentomila senza casa. Che vengono a fare? Sono nazionalisti pericolosi, fomenteranno disordine. Disperdiamoli”. Così fu detto di no alla proposta del deputato socialista Antonio De Berti, polesano, che aveva proposto di creare una nuova Pola a Castel Porziano. Ma fu detto di no. Anche per questo, forse, almeno 80mila profughi emigrarono per lontani Paesi: Stati Uniti, Australia, Canada.»

 

Fu la paura ad alimentare l’esodo?

 

«Sì, la paura, il terrore -risponde pensosamente Padre Rocchi- suscitati dal massacro. Inoltre dopo le foibe volevano imporci il comunismo collettivista. Ma noi abbiamo il senso della proprietà; nelle pratiche dei beni abbandonati che io ho sott’occhio, l’80 per cento è di piccoli proprietari con una casetta e pochi ettari di terreno. Infine abbiamo respinto l’ateismo. Ecco perché tre vescovi con 300 sacerdoti e intere comunità di frati e monache di clausura fuggirono tutti.»

 

Un esodo senza ritorno? Ci sarà posto per tornare, possibilità di ripassare l’Adriatico un giorno, per la collettività dei giuliani?

 

«La nostra idea era quella di “spostarci” temporaneamente, non di fuggire per sempre. Speravamo -dice il sacerdote- che la bufera cessasse per poter ritornare. Ma Tito è durato troppo tempo e noi non volevamo vivere sotto una dittatura comunista. Del resto anche lui, Tito, che era un uomo intelligente, si lamentò nel 1972 in un discorso tenuto in Montenegro, che oltre 300mila istriani erano fuggiti in Italia. E poi previde chiaramente quello che sarebbe accaduto: nel 1973, quando stava elaborando il Trattato di Osimo, disse: “Finché vivo io, da Belgrado comando anche la Croazia e la Slovenia; se io muoio la Jugoslavia si spezzerà in tante piccole repubbliche. E badate che il piccolo ha poco e non vi darà nulla”.»

Il 24 maggio 1994 appare invece sul quotidiano triestino “Il Piccolo” un contrastato articolo-intervista di Pietro Spirito che susciterà notevoli polemiche nel mondo degli Esuli. Ne seguirà una smentita ufficiale.

E’ un uomo strano padre Flaminio Rocchi. La vita di questo francescano di 81 anni che sta guidando, come ama ribadire, la nuova crociata degli esuli metterebbe in imbarazzo un romanziere. Da quarant’anni padre Rocchi si batte a modo suo, nei templi della burocrazia romana per ottenere altre briciole di indennizzi, nuove leggi a favore di chi perse tutto lasciando la terra natia, riscatti finanziari e morali. Ma prima delle anticamere ministeriali il frate ha conosciuto altri campi di battaglia, quelli veri. E su quei campi ha combattuto e ucciso. Ha ucciso altri uomini in guerra, e non ne parla volentieri: questo, lascia intendere, è un conto che regolerà direttamente con Dio.

Quando padre Rocchi pronuncia la parola “comunismo” nei suoi occhi passa un lampo. “Ma non ho mai odiato” giura, e dice di non essere un politico. Padre Rocchi é nato nel 1913. sotto l’impero austro-ungarico, a Neresine, sull’isola di Lussino, figlio di un marittimo. E’ di origine croata, il suo cognome non italiano era Rocaich, ma precisa di essere sempre stato “di cultura latino-veneta”. A sette anni conobbe il carcere: “Avevamo un maestro -racconta- che voleva insegnarci l’imperfetto del verbo amare; io non capivo perché amare dovesse avere qualcosa di imperfetto, e non volevo imparare; il maestro mi riempiva le mani di bacchettate, e una sera io e un mio compagno gli affondammo la barca”.

Della sua terra ama sopratutto la bora: “Sono figlio della bora, da giovane andavo con la barca ad aspettare in mare il “neverin”, mi inclinavo fino a fare entrare acqua nello scafo, mi piaceva la sfida con gli elementi”.

Vocazione a una esistenza esagerata che nel 1927 sposò con la vocazione ecclesiastica. “Mi convinse il vescovo di Zara a farmi frate, ma io volevo fare l’avventuriero, il missionario; volevo un sacerdozio di avventura spirituale”. Scelse l’Ordine francescano, l’unico che poteva lasciargli aperti orizzonti da conquistare, e a quattordici anni vestì il saio. “Non ero mai stato religioso -racconta padre Rocchi- ma ero molto impressionato dalla sofferenza e dalla fatica degli uomini; consideravo quella dei marinai una vita perduta, volevo capire”.

 

Andò a studiare in Belgio, dove si laureò in Diritto e Storia. Di quegli anni rammenta l’amicizia degli studenti, il freddo degli inverni, “quando camminavo scalzo a 18 gradi sotto zero”. Poi andò a Bologna, dove prese la seconda laurea in Lettere Filosofia. Allo scoppio della guerra si arruolò come cappellano militare. Andò in Corsica con il grado di tenente e dopo l’8 settembre fu catturato dai tedeschi. Riuscì a fuggire, seguì in Sardegna le sorti dell’ “esercito sconfitto”, poi di nuovo in Corsica, a fianco degli americani, che dopo un po’ lo spedirono alla Gorgona come ufficiale di collegamento. Si trovò ad organizzare le incursioni lungo le coste della Toscana, che ben conosceva, di tre gruppi di marines. Erano carcerati vestiti da soldati, ladri ed assassini ai quali il governo americano dava un’ultima possibilità: riscattarsi con azioni ad alto rischio dalle loro malefatte. Soldati, tanto per capirsi, resi celebri dal film “Quella sporca dozzina”.

 

Con questi marines -continua padre Rocchi- effettuavamo incursioni puntando sopratutto a fare saltare i ponti: partecipai ad almeno quindici azioni e la cosa più brutta di quelle spedizioni era far fuori le sentinelle tedesche: bisognava coglierle alle spalle e sgozzarle senza che facessero rumore”.

 

La guerra abbruttisce e imbestialisce, spiega padre Rocchi con voce suadente da uomo di Chiesa: “Quando sparavo miravo al bersaglio: o loro o io, é la guerra; e mi piacevano le armi, ero un asso nelle gare di tiro a segno”. La guerra abbruttisce, insiste padre Rocchi: “Ero diventato molto, molto violento; un giorno, mentre passavo su un prato, vidi una mucca adagiata sull’erba che ruminava tranquilla: si voltò a guardarmi con il suo sguardo mansueto, io tirai fuori la pistola e la uccisi, così, solo per il gusto di uccidere”.

 

Nel 1944 padre Rocchi è a Pola come ufficiale americano. Tenta di raggiungere Lussinpiccolo e non ci riesce. Torna a Roma, e assiste da lontano al dramma dei profughi, tra i quali i suoi familiari, fuggiti clandestinamente. “Da allora -dice- giurai a me stesso che avrei passato la vita a occuparmi dei profughi”. Gettate via le armi e le divise, padre Rocchi passò attraverso la penitenza, la purificazione e la riconsacrazione: rivestì l’abito francescano e iniziò la sua battaglia legale. Usando spesso, confessa, quel saio come fosse un’arma.

 

C’é la fila, nella sede dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia di Piazza Sant’Antonio, di gente che vuole parlare con padre Flaminio Rocchi. Chiedono tutti delucidazioni sulle nuove leggi, sui nuovi indennizzi. E ogni caso é diverso dall’altro. Il francescano risponde a tutti con pazienza, suggerisce sotterfugi, spiega cavilli, promette interessamenti. “Solo perché sono un frate -ama ripetere- ho avuto la pazienza in tutti questi anni di sopportare porte sbattute in faccia, dinieghi, indifferenza”.

 

Padre, crede che con il nuovo governo dovrà fare meno anticamere? “Ne sono sicuro. Questo governo ha di buono che non é nato a Roma, ma nelle aule dei tribunali di Milano: é un governo pulito”.

 

Dicono che ci saranno ministri fascisti.

 

Di destra o di sinistra non m’importa, l’importante é che facciano bene il loro lavoro”.

 

Ma perché ce l’ha tanto su con i comunisti?

 

Sì, ce l’ho con i comunisti, per tutto quello che hanno combinato …”

 

Anche i fascisti mica hanno scherzato…

 

“Non c’é paragone, i titini erano peggio

 

E gli slavi? Neanche loro le piacciono tanto.

 

Guardi, quando ero in Corsica fui aggregato per un periodo come cappellano a un gruppo di sloveni, anti-italiani convinti, che lavoravano per gli alleati. Con loro sono stato benissimo. Dicevo messa con le foto di Stalin e di Tito, celebravo funerali con le bandiere con la stella rossa. Mi hanno voluto bene, e io a loro. Gli uomini sono uomini, le conseguenze negative della politica sono un’altra cosa

 

Padre, lei come si definisce?

 

Un frate strambo che approfitta dell’abito che porta

 

Mai avuto rimbrotti dai suoi superiori?

 

E perché mai? Vuole saperlo? Mi hanno dato carta bianca per lavorare a favore dei profughi: quando noi francescani siamo andati via dall’Istria e dalla Dalmazia abbiamo lasciato là molti conventi. I preti sloveni ci odiavano…

 

Ci risiamo, padre: anche tra fratelli?

 

Andiamo, lo sanno tutti che il clero sloveno ha sempre fatto certa politica...”

 

Cosa ama di più, padre?

 

Le cose antipatiche. Leggo i libri che non piacciono, ascolto musica che non sopporto, guardo i quadri che non mi dicono niente. E che cerco di capire le cose che non capisco”.

 

Cosa dirà quando si troverà di fronte a Dio?

 

Ho i miei peccati , ma la misericordia di Dio é molto più grande di quanto noi stessi uomini di Chiesa andiamo predicando. E poi, le dirò, sono convinto che l’inferno non é una punizione eterna”.

 

Pochi giorni dopo “Il Piccolo” è costretto ad ospitare una lunga smentita ufficiale di Padre Flaminio. A titolo di esempio cito il fatto che l’unica “uccisione” da attribuirgli è quella della mucca, ma semplicemente perché destinata al macello e senza che nessuno sapesse come fare per sopprimerla. Ho inteso comunque pubblicare l’articolo per sottolineare come sia facile per chiunque (ieri, oggi e domani) tentare improbabili manovre mistificatorie.

 

 

 

 

1. puntata: biografia sintetica http://www.anvgd.it/notizie/14901-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-1-12mar13.html

 

2. puntata: vita da cappellano militare http://www.anvgd.it/notizie/14913-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-2-14mar13.html

 

3. puntata: l’esperienza di cappellano militare in Corsica http://www.anvgd.it/notizie/14945-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-3-19mar13.html

 

4. puntata: i ricordi della sua Neresine http://www.anvgd.it/notizie/14961-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-4-22mar13.html

 

5. puntata: l’impegno nell’ANVGD http://www.anvgd.it/notizie/14987-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-5-26mar13.html

 

6. puntanta: le Foibe http://www.anvgd.it/notizie/15014-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-6-02apr13.html

 

7. puntana: l’Esodo giuliano-dalmata http://www.anvgd.it/notizie/15034-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-7-04apr13.html

 

8. puntata: Trattato di Osimo e rapporti con la ex Jugoslavia http://www.anvgd.it/notizie/15055-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-8-09apr13.html

 

9. puntata: l’assistenza agli Esuli http://www.anvgd.it/notizie/15080-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-9-11apr13.html

 

10. puntata: la cruda realtà della profuganza http://www.anvgd.it/notizie/15081-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-10-06mag13.html

 

11. puntata: le critiche http://www.anvgd.it/notizie/15100-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-11-08mag13.html

 

12. puntata: la riconoscenza degli Esuli http://www.anvgd.it/notizie/15128-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-12-10mag13.html

 

13. puntata: la prima edizione de “L’esodo dei 350mila…” http://www.anvgd.it/notizie/15138-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-13-13mag13.html

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