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16 apr – Dibattito ”Esuli e rimasti” alle Comunità Istriane

Stabilire un obiettivo e perseguirlo, insieme esuli e rimasti per indicare una strada ai giovani. La riflessione emerge dal dibattito avviato da tempo dall’Associazione delle Comunità Istriane di Trieste che per il secondo anno consecutivo organizza incontri sul tema “Essere esuli oggi”. Storici, uomini di cultura, esponenti politici, protagonisti dell’esodo, rappresentanti dei rimasti, si sono avvicendati al microfono davanti ad una pubblico sempre numeroso ed attento rispondendo ai quesiti posti da Carmen Palazzolo Debianchi che con grande garbo è riuscita ad aprire il vaso di Pandora e dare voce alle diverse componenti di un popolo sparso.

E dopo l’inquadramento storico e le valutazioni politiche, emergono chiaramente le preoccupazioni comuni, ovvero: quale futuro ci attende, disponiamo degli strumenti per poterne determinare i momenti salienti o ci dobbiamo affidare al caso, basta l’impegno dei singoli e la spinta dal basso o ci vuole un progetto più ampio pilotato dai vertici? Sono quesiti che pesano e coinvolgono in particolar modo quella generazione di mezzo che ha ereditato il testimone dei protagonisti diretti e che sente l’obbligo di doverlo passare a figli e nipoti che sono spesso lontani e disinteressati ad argomenti di carattere associativo ma sentono l’orgoglio di un’appartenenza che è racconto, ricordo, l’uso dei dialetto, perlopiù captata in modo frammentario e superficiale.

A misurarsi su queste tematiche: Chiara Vigini e Franco Biloslavo di Trieste/Muggia, Gaetano Bencic da Torre di Parenzo, Gianclaudio de Angelini dal Quartiere Giuliano-Dalmato di Roma e poi il moderatore e anima del progetto Carmen Palazzolo Debianchi e il Presidente dell’Associazione Lorenzo Rovis, oltre a varie persone che sono intervenute dal pubblico per quella che è veramente un’Agorà dove ci si incontra perché mossi dalla comune volontà di capire e di immaginare possibili scenari ora che le ideologie aberranti del Secolo breve stanno lentamente lasciando il posto al rispetto nei confronti dell’individuo e liberano il campo dai pregiudizi.

“Noi sappiamo qual è in nostro obiettivo – dichiara Bencic, professore nato a Torre che vive e lavora in Istria – continuare a mantenere la nostra realtà italiana sul territorio, continuare ad usare il dialetto, formare le nuove generazioni nelle nostre scuole, collaborare con chi ha a cuore l’istrianitas della nostra terra”.

Ma altrove, lontano dal luogo geografico di riferimento, tutto ciò in che cosa si traduce, si chiede Biloslavo e soprattutto, bastano le poche cose che vengono fatte dai singoli? “Credo manchi una presenza pregnante della nostra cultura nei luoghi in cui viviamo – risponde de Angelini – una pasticceria o un ristorante istriani a Roma, Milano, Torino e laddove vive la nostra gente, con prodotti e ricette del nostro territorio, sarebbe un segno forte per le nostre comunità sparse”.

Ed a parte Trieste dove l’Istria è di casa, anche se a volte non se ne ha precisa coscienza, dopo Monfalcone, questa cultura materiale non ha riscontro nella realtà sociale, rimane legata alle vicende familiari e lì si esaurisce. Un progetto, anche trasversale, che costruisca una rete di questo tipo, aprirebbe una strada alla conoscenza ma sarebbe anche veicolo d’interesse perché fungerebbe da volano economico.

Senza dimenticare – avverte Biloslavo – che alcune rivendicazioni del mondo degli esuli, in piedi da sessant’anni, non possono essere dimenticate ma vanno mantenute in parallelo, e possibilmente risolte in tempi brevi.

Rimane la volontà di un progetto trasversale che superi anche stacchi di carattere amministrativo-burocratico. “In Istria – avverte Chiara Vigini – per noi figli di esuli, è difficile avviare qualsivoglia iniziativa, siamo visti con un certo sospetto dalle autorità locali e spesso bistrattati, una impasse da superare”.

Come? Con un’azione congiunta dei vertici di Unione Italiana e Federazione degli Esuli che non si decidono a riunirsi attorno ad un tavolo per ragionare sul futuro che la gente chiede. Un ritorno in Istria, Fiume e Dalmazia con la caduta anche dell’ultimo confine sarà possibile ma quale italianità entrerà in queste terre? Sarà l’Italia degli affari o si vuole proporre qualcosa di diverso? La scelta propende per un  discorso di carattere culturale e di ricomposizione, attraverso la conoscenza, di un tessuto umano e civile che la storia ha diviso. Ma la volontà, ancora una volta, si arena sulla necessità di individuare possibili strade…e perciò il dibattito continua.

Rosanna Turcinovich Giuricin su www.arcipelagoadriatico.it

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