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12mag/13.56 – Da Aquileia a Venezia, le radici dell’italianità adriatica

A 26 anni dal viaggio ad Aquileia del suo predecessore, Giovanni Paolo II, il pontefice è tornato in questi giorni sui luoghi che dall’età tardo-antica furono culla e guida del cristianesimo e della rinnovata civiltà latina nell’Adriatico orientale. Già elevata a capitale della X Regio «Venetia et Histria» dall’imperatore Augusto, nell’era cristiana la metropolìa aquileiese irradiò sin dal IV secolo sui territori orientali– l’Istria, il Quarnero, la Dalmazia – la lingua e la liturgia latine, segni visibili e storici della fedeltà delle chiese adriatiche alla Chiesa di Roma.

«Porta tra Oriente ed Occidente», come l’ha definita il Papa nel suo indirizzo di saluto pronunciato in Piazza del Capitolo, la sede aquileiese riveste un’importanza rilevante per l’Italia nord-orientale nella lunga transizione dall’evo antico: ben prima della comparsa dei popoli slavi nell’area adriatica (VIII-IX secolo) l’ecumene latina si riconfermava lungo le rive e nei centri istriani e dalmati, già municipi di diritto latino, e si proiettava nei successivi, lunghi secoli della presenza veneziana, da Grado alle città dalmate.

Ai nostri giorni quei territori appartengono a Stati diversi – la Slovenia, la Croazia ed altri ancora – chiamati a raccogliere con intelligenza e rispetto l’eredità storica e spirituale ricordata dal pontefice: «Tenete sempre vive – è stata la sua esortazione –,  con coraggio, la fede e le opere delle vostre origini». E non ha mancato, in occasione del suo soggiorno a Venezia, di fare riferimento alla «Serenissima», «punto di approdo e di incontro – l’ha definita – per gli uomini di tutti i continenti, per la sua bellezza, la sua storia, le sue tradizioni civili». Di e in quella civiltà sono vissuti e portano con sé gli italiani dell’Adriatico orientale, gli esuli giuliani e dalmati dall’Istria, da Fiume e da Zara scampati negli anni della seconda guerra mondiale e ben oltre all’odio ideologico ed etnico del regime jugoslavo di Tito: che in ogni maniera ha tentato di cancellare la memoria storica della presenza latina e veneta in quei territori, non molto diversamente da quanto ancora ai nostri giorni si tenta di fare nei nuovi Stati sorti dal disfacimento della Jugoslavia.

Tornare dunque alle radici di Aquileia e di Venezia, che – ha rimarcato Benedetto XVI – ci parlano «di una civiltà della pace, fondata sul mutuo rispetto, sulla reciproca conoscenza». Ma il nazionalismo esasperato che si manifesta di frequente nei Paesi che il pontefice ha salutato nelle rispettive lingue – lo sloveno e il croato – , si muove nella stessa direzione, quando nega la presenza storica dell’altro?

ANVGD / Sede nazionale

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