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12 ott – Genova: la guerra dei serbi

Incidenti in città, scontri con la Polizia, petardi, pietre, seggiolini gettati sui tifosi italiani, disordini nello stadio con nuovi lanci, duello con gli agenti, cori e striscioni nazionalisti, saluti nazisti, battaglia continuata e terminata con la sospensione decisa dall'arbitro dopo altri fumogeni lanciati in campo: questo lo "show" offerto a Genova da un centinaio di ultras serbi che nessuno ha saputo fermare. E l'Uefa voleva continuare

Dopo cento anni di storia, la Nazionale italiana si ritrova involontaria protagonista di una pagina inedita e illeggibile: l'hanno scritta cento personaggi provenienti dalla Serbia che non possono essere definiti come semplici ultrà. Parola giusta è forse guerriglieri, paramilitari provenienti dalle frange più oltranziste del nazionalismo serbo che già furono osceni vivai nella tragedia della guerra nell'ex-Jugoslavia. Ecco la cronaca, rigorosamente nera, dei fatti.

PAURA A GENOVA
Tutto comincia prima del match, in città . Gli ultras serbi hanno seminato il panico e il momento di maggiore tensione si e' registrato davanti alla Fnac in via Venti Settembre. Alcuni tifosi serbi nel mezzo del corteo spontaneo hanno aggredito un auto della Digos danneggiandola. Sul posto sono e' intervenuto personale del reparto mobile della polizia e del battaglione dei carabinieri, che ha caricato i tifosi slavi riportando l'ordine. Tutto questo davanti a decine di passanti in fuga e commercianti costretti a chiudere in fretta e furia i negozi.

AGGREDITA LA NAZIONALE SERBA
Poco prima una settantina di questi tifosi si era staccata dal gruppo ed era andata a contestare la Nazionale serba, reduce dalla sconfitta in casa contro l'Estonia per 3-1 nell'incontro di venerdi', nei pressi dell'hotel Savoia nella zona di Principe dove alloggiava il team allenato da Petrovic. I tifosi serbi avevano lanciato oggetti ed un fumogeno era finito all'interno del pullman dei giocatori. Nessun calciatore o membro dello staff è rimasto ferito, ma il portiere Stojkovic, sconvolto, si è rifiutato di giocare e non ha preso parte nemmeno al riscaldamento.

DENTRO LO STADIO: PETARDI SUGLI ITALIANI
Entrati in uno spicchio laterale della gradinata Nord a Marassi, i serbi si sono presentati con un lancio di petardi da parte verso il centro del settore, dove erano seduti i tifosi dell'Italia. Smontati e tirati anche alcuni seggiolini e delle pietre. I disordini sono continuati, e le squadre, già entrate in campo per gli inni nazionali, sono rientrate negli spogliatoi. Una decina di ultrà sollevavano la rete della 'gabbia' e si appollaiavano sulla recinzione. Dalla gradinata nord sono partiti cori ''zingari, zingari di m.''.

FUORI LE SQUADRE, DENTRO LA POLIZIA
Uscite Italia e Serbia, è entrata in campo la polizia, che si è portata sotto il settore dei serbi mentre il resto dello stadio incita gli agenti: un clima assurdo, vomitevole, tra l'altro di fronte a migliaia di ragazzini invitati dalla Figc. La situazione non ha accennato a placarsi, mentre il delegato Uefa decideva insieme ai dirigenti delle due federazioni se sospendere la partita. La polizia, ha continuato a lungo a fronteggiare gli ultras senza prendere iniziative, petardi e qualche sasso sono arrivati ai piedi del gruppo di agenti. Che, nonostante tutto, non hanno preso iniziative anche per non rischiare di coinvolgere gli spettatori più prossimi.

L'UEFA DECIDE: SI GIOCA LO STESSO
Il clima di Marassi non si è affatto rasserenato, ciononostante l'Uefa, per insistenza del suo delegato, premeva per provare a giocare. Le due squadre sono rientrate in campo per il riscaldamento con gli agenti in tenuta antisommossa a bordo campo e i tanti tifosi italiani inferociti contro i serbi. Che hanno salutato i propri beniamini spaccando i vetri che li dividevano dagli altri settori, lanciando altre pietre e fumogeni. In questa cornice, è arrivata la decisione dell'Uefa: si gioca

IL "SALUTO" DEI GIOCATORI SERBI SOTTO LA CURVA
Al termine del riscaldamento, i giocatori della Serbia sono andati sotto la curva dei loro "tifosi": hanno applaudito o fatto un segno di "tre" con le dita, un gesto legato al nazionalismo serbo. Stankovic rifiuta in diretta ogni polemica: "Abbiamo cercato di calmarli e basta". Intanto il delegato della sicurezza Figc Masucci faceva sapere che "Ci sono le condizioni per giocare, abbiamo l'ok della questura di Genova".

CINQUE MINUTI DI CALCIO SURREALE
Cominciava il rito della partita. L'inno serbo è stato fischiatissimo, gli slavi non hanno risposto ignorando anche il minuto di silenzio osservato per le nostre vittime in Afghanistan. Il clima del match era palesemente condizionato e con lui l'arbitro Thompson, che non ha espulso al primo minuto Rajkovic (entrata ai limiti del codice su Rajkovic) e non ha concesso un chiaro rigore su Pazzini. Alla prima azione sulla fascia più vicina al settore dei serbi, sono piovuti due bengala e un terzo è arrivato nei pressi di Viviano. Thompson non se l'è fatto dire due volte e ha sospeso la partita. Ed è lui, assolutamente, che si è preso la responsabilità dell'interruzione definitiva assumendosi la tutela dell'incolumità dei giocatori. L'Uefa, fino all'ultimo, ha provato – probabilmente su insistenza dei dirigenti serbi, consci di andare incontro allo 0-3 a  tavolino e a una squalifica pesantissima – a fare disputare la partita. E sarebbe stato l'ultimo gradino di una scala che ha riportato, per una sera, il calcio nei bassifondi della violenza.

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