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07 nov – Klinger svela i segreti di Tito

Vive a Gradisca d'Isonzo lo storico che potrebbe restituire alla storiografia la parte più misteriosa della Jugoslavia di Tito. Con la benedizione di Giampaolo Pansa, che lo ha citato in numerosi passaggi del suo ultimo libro "I vinti non dimenticano", definendolo «ricercatore molto speciale» e affermando come «difficilmente avrei potuto imbattermi in uno storico migliore». Un bel riconoscimento per William Klinger: 38 anni, nato a Fiume da famiglia di origine mista (italiana, tedesca e slava) utilizza correttamente almeno otto lingue. Laureatosi all'Università di Trieste, a Gradisca ha messo su una splendida famiglia.

A rivelare Klinger come uno degli storici di maggiore talento del panorama internazionale è un lavoro del 2008 sui servizi segreti di sicurezza jugoslavi, in particolare l'Ozna (letteralmente: Dipartimento per la protezione del popolo). Un terreno di ricerca impervio e rischioso nel quale, a parte rarissime eccezioni, nessuno si era mai realmente addentrato con piglio scientifico. Lo ha sfiorato Pansa nel suo ultimo libro, dedicato all'occupazione jugoslava di Trieste, Gorizia e Fiume, «ma – assicura Klinger – ho la netta sensazione che da scoprire ci sia ancora moltissimo».

Il contatto con l'autore piemontese è avvenuto la scorsa primavera. «Pansa mi ha chiesto informazioni sul modo di operare dell'apparato di Tito e di alcuni suoi esponenti attivi a Trieste e Gorizia nel maggio del 1945 – racconta Klinger – ma lo spazio che mi ha dedicato nel suo libro mi ha sorpreso e lusingato». È stato in seguito a una segnalazione avuta a Trieste che Pansa è risalito a Klinger attraverso la Società di studi fiumani di Roma, per i quali il gradiscano aveva fatto una ricerca sull'Ozna. Un lavoro che è stato notato.

«Avevo cercato di fare il punto su quanto era stato pubblicato sull'apparato segreto jugoslavo fino a quel momento» racconta Klinger. Che denuncia: «Sull'argomento si è scritto poco anche nelle lingue ex jugoslave, mentre in Italia non è stato fatto assolutamente nulla». Una circostanza curiosa della storiografia jugoslava, secondo lo storico gradiscano, è «che essa in sostanza ha sempre corso su due binari: uno si occupava della stesura della "vulgata" del regime, quella insegnata a scuola e sulla quale si sono basate gran parte delle opere uscite all'estero sulla storia della Jugoslavia di Tito».

«L'altro – prosegue – era invece per gli "addetti ai lavori": funzionari di partito, militari e quant'altro, che (in particolare dopo la morte di Tito del 1980 e fino alla dissoluzione della Jugoslavia nel 1990 ndr) ha visto l'edizione di un'imponente mole documentaria. Dalla quale però mancava qualsiasi tipo di analisi critica». «Di fatto – ancora Klinger – fuori del loro contesto quei documenti difficilmente potevano essere utilizzati da uno storico».

Di opere che mettessero assieme un'ipotesi storiografica assieme alle fonti, in pratica, non ce n'erano. Klinger vuole colmare quel vuoto. Dopo circa un anno di raccolte di dati ha steso una bozza di circa 200 pagine sulla genesi della Jugoslavia di Tito, dalla quale ha estratto una trentina di pagine sull'apparato di sicurezza. Bocciato da una prima rivista, quel dossier è stato pubblicato dalla Società di studi fiumani. «Pensavo che difficilmente quel lavoro avrebbe suscitato reazioni, però mi sbagliavo» confessa Klinger.

Dopo una citazione dello storico Raoul Pupo sul suo "Trieste 1945" è seguita anche quella di Pansa. «Si tratta di due opere molto diverse, ma l'attenzione che mi hanno concesso è senz'altro uno sprone» assicura.

Ora Klinger sta lavorando a una monografia: lo sviluppo di quel primo dossier sull'Ozna. L'intento è ampliare il campo della ricerca. «Vorrei far luce sulla strategia insurrezionale di Tito nel periodo 1938-1948 quando da oscuro ufficiale del Comintern divenne uno statista di statura mondiale.

Fondamentale sarà l'aiuto dello storico inglese Geoffrey Swain, il quale ha appena terminato una biografia di Tito. Ho deciso di contattarlo e intervistarlo la scorsa primavera». «In buona sostanza – chiarisce – il partito comunista jugoslavo sotto la guida di Tito è emerso come "primus inter pares" tra tutti i partiti comunisti europei togliendo il primato a quello transalpino dopo il crollo della Francia nel 1940. Tito aveva messo in piedi un partito comunista eccezionalmente combattivo, dimostratosi in grado di sopravvivere anche nel caso tutta l'Europa fosse caduta sotto il dominio nazista, il che dopo il crollo della Francia appariva probabile.

Questo gli permise di imporsi sui partiti comunisti dell'Europa mediterranea dove fu il coordinatore dei movimenti insurrezionali anche all'insaputa di Stalin». «Questo primato – conclude il ricercatore isontino – durò fino al 1948, quando la rottura con Mosca pose un freno».

(l.m. su Il Piccolo del 2 novembre 2010)

 

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