di MATTEO UNTERWEGER su Il Piccolo del 4 luglio 2010
Lunghi silenzi e attese infinite. Poi, improvvise, arrivano due voci che si muovono in una direzione unica: «Si faccia un passaggio al Narodni Dom, così come ci si fermi al monumento che ricorda l’esodo in piazza della Libertà, assicurando pari dignità alle diverse memorie ferite».
Nella partita a scacchi diplomatica sulla possibile presenza dei tre Presidenti di Italia, Slovenia e Croazia a Trieste il 13 luglio per il concerto “Le vie dell’amicizia” diretto da Riccardo Muti, e sulle tappe che potrebbero caratterizzare la visita istituzionale prima dello spettacolo, si inseriscono due messaggi che rivelano un contenuto comune. Sono dettati da un lato, da chi rappresenta una larga fetta degli italiani costretti ad abbandonare le terre d’Istria, di Fiume e della Dalmazia; e dall’altro da un illustre rappresentante della comunità slovena in Italia. Rispettivamente Lucio Toth, presidente nazionale dell’Anvgd (Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia), e Milos Budin, esponente del Pd già sottosegretario al Commercio internazionale con il governo Prodi. Aprono di fatto a una soluzione condivisa e forse vanno a fornire un assist alle diplomazie dei tre Paesi. Non è un caso che siano proprio Toth e Budin a veder combaciare questi spunti: nell’aprile del 2009 i due erano stati protagonisti del dibattito “Memorie a confronto. Nuove prospettive a 70 anni dalla guerra”, dal quale era partito un messaggio chiaro: «Stop alle contrapposizioni, sì a un futuro comune».
Per ora, l’interrogativo resta: i Capi di Stato di Italia, Slovenia e Croazia saranno a Trieste il 13 luglio? Dopo la richiesta di Lubiana di una visita all’ex hotel Balkan, il Narodni Dom sloveno dato alle fiamme proprio il 13 luglio del 1920 dai nazionalisti italiani, cui avevano fatto seguito vari controinviti da parte italiana – in prima fila il sottosegretario Roberto Menia – a recarsi allora anche alla Foiba di Basovizza, ecco adesso un’opzione per una doppia tappa in «luoghi simbolo».
«Se si deve rendere omaggio al Narodni Dom – è il pensiero di Lucio Toth -, ritengo giusto si faccia allora qualcosa che abbia un senso di equità. Cioè si ricordino altre memorie ferite in questa regione, quelle degli esuli. Ci sono state diverse proposte: l’ultima di cui sono a conoscenza, avanzata anche da Renzo Codarin e mi pare gradita pure alla minoranza slovena a Trieste, è quella di un omaggio alla stele all’esodo, che si trova in piazza Libertà». Per Toth quella «potrebbe essere una via d’uscita, se i tre Presidenti dovessero accettarla. Siccome le memorie sono ancora divise ma si è d’accordo sul fatto che tutti quanti abbiano sofferto, una cosa del genere potrebbe placare le inquietudini di queste terre. Fermare delle iniziative che hanno il significato di voler guardare avanti, com’è appunto il concerto di Muti, sarebbe un peccato. Una soluzione sbilanciata – conclude Toth – si rivelerebbe iniqua e ferirebbe qualcuno. Non si vada sui luoghi della memoria, ma in due posti dal significato simbolico».
Sulla stessa linea Milos Budin, che definisce quello in programma in piazza Unità il 13 luglio come un appuntamento «nobile, di alto valore artistico e morale». «Trieste ha colto questo annuncio della possibile presenza dei tre Presidenti – evidenzia Budin – come una possibile risposta a un’esigenza di pacificazione diffusa nell’opinione pubblica. Perciò credo che questa sia un’occasione da cogliere con un riconoscimento alla dignità delle diverse memorie storiche dei popoli di queste terre. Con dei gesti simbolici fatti assieme, i Presidenti incontrerebbero il sollievo della città. Al riguardo, vedrei più tappe». Cioè: «La coincidenza dei 90 anni dall’incendio del Narodni Dom sarebbe lo spunto per fare un passaggio in quel luogo simbolo di una memoria storica. Allo stesso modo si faccia tappa, come proposto, anche al monumento agli esuli in piazza Libertà, simbolo dell’altra principale memoria storica. Questo riconoscimento equo della dignità di tutte le memorie storiche aiuterebbe la città perché qui dobbiamo costruire un comune futuro, conquistando uno sguardo più sereno sul passato: per farlo – chiude Budin – non possiamo infatti affidarci all’oblio».