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Uto Ughi: senza cultura l’Italia precipita (Mess. Veneto 29 nov)

UDINE. «Faccio un appello alle autorità del Friuli Venezia Giulia affinché, prima di compiere passi affrettati, riflettano molto bene. È facile distruggere, molto più difficile ricostruire». Dal palco del Teatro Nuovo, dieci anni fa, il grande violinista Uto Ughi con queste parole – rimbalzate anche sui telegiornali nazionali – scendeva in campo contro il taglio dei finanziamenti pubblici deciso dalla Regione Fvg nei confronti dell’Orchestra Filarmonica di Udine, una delle più importanti realtà musicali del Friuli. È trascorso quasi un decennio da quando l’Ofu, proprio durante la fase ascendente della sua storia, ha dovuto rinunciare a essere orchestra sinfonica per dedicarsi all’attività di ospitalità. Tuttavia, anche in questo ruolo l’istituzione musicale udinese ha ottenuto gratificanti soddisfazioni organizzando due stagioni concertistiche di successo – le “Settimane musicali di Grado” e i “Concerti Aperitivo” – sostenuta quasi totalmente da enti privati. Quest’anno, però, alla luce della crisi economica, le sovvenzioni private non sono più tali da garantire la prossima rassegna dei “Concerti Aperitivo”, attualmente a rischio di chiusura, nel silenzio della Regione e nonostante le richieste di abbonamento siano pressochè raddoppiate rispetto alla scorsa edizione.

Malgrado i corali appelli, di cittadini privati ed esponenti del mondo politico, «a rispettare l’impegno di questa importante realtà e il ruolo che riveste per la crescita culturale del territorio, ma anche le richieste del pubblico che da anni segue con interesse le proposte della Filarmonica», a oggi non è dato sapere se l'Ofu potrà procedere con la sua attività. Maestro Ughi, siamo dunque ancora qui a parlare di chiusure… «Il mio punto di vista l'avevo espresso già 10 anni fa: è stato un errore gravissimo trasformare l'Ofu in orchestra regionale perché era un'orchestra che poteva funzionare molto bene, c'era un direttore – Nanut – che era un musicista di grosso spessore. Mi ero già espresso, ma non è servito a niente». Si auspica che ci siano ascoltatori più attenti in questa occasione… «Cosa vorrebbe che le dicessi? Che le orchestre non dovrebbero chiudere? Questo è un male di tutta l'Italia, di tutto il Paese, e che va di pari passo con lo scadimento della cultura e dei valori. In Germania ci sono più di 130 orchestre sinfoniche, noi ne abbiamo 15, se va bene! C'è un divario enorme di attenzione alla cultura tra l'Italia e gli altri Paesi europei. E poi ci si perde anche in beghe regionali come è successo a Udine, chiudendo un'orchestra che meritava: questo è scandaloso e difatti quello che avevo previsto è accaduto. Dopo 10 anni siamo punto e a capo». Lei spesso ha affermato che i tagli alla cultura sono anche il risultato di interlocutori deboli, cioè di una certa modestia artistico-culturale. In che senso? «Questo dipende un po’ anche dall'opinione pubblica, che è completamente disinteressata alla cultura. Se avessimo un Paese che ha solide radici e tradizioni culturali che sostengono le istituzioni, allora sarebbe impossibile chiudere un'orchestra. Se invece c’è l'indifferenza totale anche dalla parte della gente, del pubblico, dei lettori dei giornali che non fanno nulla, allora è chiaro che si può chiudere (come accaduto) anche l'orchestra della Rai senza che nessuno faccia niente, salvo qualche rara protesta da parte di qualche musicista isolato. La cultura non è una cosa sentita nel nostro Paese. Purtroppo. Non è sentita e per questo qualsiasi cosa può succedere». Quindi, secondo lei, la tradizione musicale italiana è a rischio in questo momento? «Non a rischio, ma è precipitata. Era a rischio ed è andata sempre peggio.

L'Italia non sta scivolando: tutti i valori sono precipitati». In questo contesto come andrebbe divulgata la musica? C'è ancora qualche spazio per salvarla? «Ci sarebbero tutti gli spazi, basterebbe la volontà. Ci sarebbero gli spazi dei media, della televisione e della radio, ma i concerti si trasmettono alle due del mattino. Non c'è una volontà vera nemmeno da parte del ministro ai Beni culturali, Sandro Bondi, che ha parlato male degli artisti, dicendo che sono degli accattoni, dei questuanti. Una cosa non tollerabile in un Paese civile è avere un ministro della cultura che si esprime in quel modo nei confronti di chi cerca di fare cultura». Secondo lei, che cos’è un Paese che non aiuta i propri artisti? «Un Paese che abdica alle proprie tradizioni culturali è un Paese in grave decadenza. Del resto, la decadenza si vede nella politica, si vede in tutto. Io, però, non voglio fare del disfattismo senza proporre nulla di nuovo: bisogna rimboccarsi le maniche, lo deve fare la gente di buona volontà che crede ancora in qualche ideale, per cercare di costruire sulle macerie, su queste rovine in cui ci troviamo. So che non è facile, ma non è impossibile se c'è una volontà». Lei parla molto di coinvolgimento dei media nel sostenere la musica. In questo momento, però, assistiamo al fatto che i media sono concentrati prevalentemente su alcuni fenomeni ( l'allusione è alla querelle tra il maestro Ughi e Giovanni Allevi, nd r)… «Ho capito a cosa vuole alludere, e questo è uno scandalo: ci sono fenomeni di falsi valori portati alle stelle, ai vertici, e altri talenti di autentico spessore che vengono completamente misconosciuti o ignorati». Dunque, l'educazione al gusto e all'ascolto come potrebbe esser coltivata? «Attraverso la scuola, la radio, la televisione. Ma prima di tutto attraverso la scuola, che non sta facendo assolutamente nulla. In radio e televisione qualcosa si era mosso, ma sono gocce nel mare. Però non bisogna desistere, bisogna continuare la battaglia per i propri ideali». Volendo sostenere questo messaggio positivo, secondo lei il livello dei nostri musicisti in Italia qual è? «Gli italiani sono certamente non inferiori agli altri né come talento né come livello. Solamente che non sono aiutati dalle istituzioni: le orchestre invece di esistere si sciolgono, così un ragazzo che si diploma in Conservatorio al prezzo di grandi sforzi e sacrifici si trova a essere un disoccupato». Secondo lei, al di là del coinvolgimento dei mezzi di comunicazione, i giovani sono ancora interessati alla musica classica? «Io organizzo un festival annuale a Roma, invitando i giovani con ingressi liberi. I giovani sono interessati se gli si propongono cose interessanti. Non possono essere interessati se non c'è un'educazione data. Non si può amare quello che non si conosce!».

Mariateresa Bazzaro

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