Tutela lombarda della memoria, dei massacri delle Foibe e dell’Esodo

L’Assessore all’Autonomia e alla Cultura della Regione Lombardia, Prof. Stefano Bruno Galli, ha così risposto ad una mozione in cui si chiedeva quale fosse l’impegno dell’ente per preservare la memoria delle Foibe e dell’Esodo giuliano-dalmata.

La Mozione n. 655 affronta il tema delle azioni finalizzate alla tutela della memoria, dei massacri delle Foibe e dell’Esodo giuliano-dalmata. Con la Legge n. 92 del 16 marzo 2004 – come opportunamente richiamato in premessa nella parte motiva del testo della mozione in oggetto – venne istituito il “Giorno del Ricordo”. La mozione richiama altresì la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la Legge n. 115 del 16 giugno 2016 che attribuisce rilievo penale alle tesi negazioniste. Tesi che sono state abbracciate e sostenute anche di recente, poche settimane fa, nella circostanza del Giorno del Ricordo di quest’anno. È scandaloso – e inaccettabile – che ciò sia avvenuto in sede istituzionale. Alludo al documento firmato congiuntamente dalla Cgil e dall’Anpi di Reggio Emilia in cui si definisce la tragedia delle Foibe una “ricostruzione vittimistica non tollerabile” e la vicenda storica di Norma Cossetto un “capolavoro” di revisionismo. Alludo anche al riduzionismo di sedicenti storici come Eric Gobetti e del rettore di un importante Ateneo senese come Tomaso Montanari, che si autodefinisce “diversamente negazionista” e ritiene il Giorno del Ricordo una “falsificazione storica”. La storia – senza dubbio – è la più alta forma di comunicazione politica, ovviamente nel senso più nobile. Proprio perciò queste posizioni sono scientificamente inaccettabili. E fa orrore che siano proposte nel dibattito pubblico.

Dietro la tragedia delle Foibe e il dramma dell’Esodo, due fenomeni strettamente collegati perché causati dalla folle operazione di pulizia etnica dei partigiani titini, v’è il problema dei numeri. Non tanto in relazione all’Esodo ormai quantificato in 360mila giuliano-dalmati, quanto piuttosto in relazione alle Foibe. Ne vengono scoperte sempre di nuove e ormai siamo giunti a una quantificazione superiore alle 100mila unità, stando ai dati della Commissione slovena. E il numero è – probabilmente – destinato a crescere. Si tratta di una pagina sino a pochi decenni orsono rimossa dai libri di storia e dalla memoria collettiva per un “machiavellismo” da dilettanti allo sbaraglio, un “machiavellismo” da quattro soldi da parte della classe politica italiana. Nei fatti deve essere messa in relazione al conferimento del titolo di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica italiana al principale responsabile di quelle terribili operazioni di pulizia etnica, Josiph Broz, cioè il maresciallo Tito, nell’ottobre del 1969 da parte del Presidente Giuseppe Saragat. Sin dal 1948 la ex Jugoslavia era stata espulsa dal Cominform per la politica di non allineamento abbracciata da Tito. Jugoslavia che, pertanto, risultava il “ventre molle” dei Paesi dell’Europa centrorientale, punto debole della Cortina di Ferro. Bisognava quindi legittimare il suo leader, individuandolo quale interlocutore privilegiato dell’Occidente.

Nel momento in cui – almeno da una ventina d’anni – è in atto una politica di istituzionalizzazione della tragedia delle Foibe e del dramma dell’Esodo, la revoca d’ufficio e senza appello dell’alta onoreficenza rappresenta l’ineludibile premessa per una riconciliazione autentica e matura. Revoca d’ufficio e senza appello perché la legge attualmente in vigore prevede che al titolare dell’alto riconoscimento venga concessa l’opportunità di “discolparsi” e di giustificarsi. Ma Tito non può farlo: è morto da oltre quarant’anni. È opportuno, dunque, che il Parlamento proceda tempestivamente – e con risoluta determinazione politica – nella direzione della revoca del cavalierato a Tito. Lo Stato non può adottare infatti la politica dei due forni: riconoscere Foibe ed Esodo con la proclamazione del Giorno del Ricordo e lasciare l’alta onoreficenza al principale responsabile del dramma e della tragedia che colpì giuliani e dalmati di lingua e cultura italiana. Proprio per tale ragione, sarebbe anche opportuno procedere alla cancellazione della toponomastica dedicata al maresciallo sanguinario – una dozzina di vie in tutto il Paese – magari adottando il giusto criterio del Comune di Palma di Montechiaro (Agrigento), che nel maggio 2017 ha rinominato via Tito in via Martiri delle Foibe.

A questi temi abbiamo di recente dedicato, come Assessorato alla Cultura di Regione Lombardia, un importante convegno al quale hanno partecipato il professor Giuseppe de Vergottini, il professor Davide Rossi, il professor Giuseppe Parlato, il professor Stefano Zecchi e il sottoscritto, in qualità di storico. V’è stato poi un breve intermezzo musicale. Si sono svolte infine le premiazioni della 12ma edizione del “Concorso Nazionale 10 febbraio” promosso dal Ministero dell’Istruzione, Regione Lombardia, rappresentanti delle associazioni degli Esuli e rivolto agli Istituti scolastici per promuovere l’educazione alla cittadinanza europea e alla storia italiana attraverso la conoscenza e l’approfondimento dei rapporti storici e culturali nell’area dell’Adriatico orientale. Concorso al quale hanno partecipato scuole di primo e secondo grado, statali e paritarie, provenienti da tutta Italia, così come scuole italiane all’estero, invitate a sviluppare il tema dell’esodo giuliano-dalmata alla luce dei diritti umani. Sono state premiate 12 scuole che hanno ricevuto una targa e un attestato, tra primo premio, secondo premio e menzioni speciali. Tra queste, due scuole lombarde: il Liceo Artistico “Manzù” di Bergamo e il Liceo “Primo Levi” di San Donato Milanese.

Come storico penso di essere stato uno dei primi a occuparmi del Giorno del Ricordo, con una relazione a un convegno organizzato a Bologna dall’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito nel lontano 2004, subito prima dell’approvazione della Legge numero 92. Anche per questo sono stato nominato Socio onorario dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che viene citata nella Mozione. E ne vado fiero e orgoglioso. Per questa “folla” di ragioni esprimo parere favorevole alla Mozione 655, presentata dal Consigliere Massimiliano Bastoni. Propongo due soli emendamenti. Nella parte dispositiva, al primo punto, dopo “osservatorio” togliere “permanente” e aggiungere le parole “culturale, attivo presso PoliS Lombardia”. Propongo altresì di espungere il terzo punto perché la Regione non assegna né riassegna unità immobiliari. Per quanto attiene alla partecipazione ai Bandi regionali, credo che essa sia ricompresa nel punto precedente del dispositivo della mozione, laddove si fa riferimento ai patrocini e ai finanziamenti, erogabili solo attraverso le procedure di evidenza pubblica. Per il resto, è un “sì” senza riserve. Forte e chiaro.

Stefano Bruno Galli

Assessore all’Autonomia e alla Cultura della Regione Lombardia

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