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Traù, uno scrigno pieno di storia (Voce del Popolo 04 ago)

Avevamo ancora negli occhi le meraviglie di Zara e poi quelle non meno entusiastiche di Sebenico quando arrivammo nella meravigliosa piazza di Traù (Trogir in croato), sulle pietre del suo lastricato lucidato da miliardi e miliardi di passi, distese come un antico merletto, per la verità un po’ ingiallito e dal tempo e da tanto sole. Scrive lo storico Ivan Delalle: “Lungo le sue calli si rivivono i tempi del lontano Medioevo. Non c’è angolo, anche il più riposto, che non riesca a mettere ali alla fantasia: ogni casa antica è un dramma o forse una commedia, ogni cappella una leggenda, ogni balcone un palco d’amore e di speranza…”.

I tanti volti del passato

È davvero incredibile come Traù abbia conservato le forme e i volti del suo passato. Ovunque si può leggere la storia della sua cultura: sui selciati, sui portali, sui campanili, sulle torri, sui palazzi… Anche sulle modeste casette dei popolani. La città è un vero scrigno pieno di storia. C’è nel libro “Viaggio in Dalmazia” dell’austriaco Hermar Bahr (pubblicato a Vienna nel 1919) una descrizione della cittadina breve, ma molto efficace. Dice l’autore: “Traù, di fronte all’isola di Bua (Čiovo), su cui si arriva attraverso un ponte girevole, è ancora tutta veneziana. Il leone (in quei tempi, aggiungiamo noi!) sta ancora ovunque. Il celebre duomo, iniziato nel tredicesimo secolo (dopo che i saraceni avevano distrutto quello più antico) e completato nel 1600, ha un meraviglioso portale romanico. Si viene quindi guidati in una cappella dove si trova il sepolcro del beato Giovanni Orsini, il primo vescovo di Traù. Vengono mostrati lo stemma vescovile, un prezioso reliquiario, abiti talari e messali. Si va girando così, nel passato, e poi si torna sulla piazza, sotto il sole e di nuovo è passato, dappertutto. (…) Vedere delle persone che abitano con tanta indifferenza su un palcoscenico mi diverte per metà e per l’altra metà mi spaventa. (…) E provo il violento impulso di entrare nella Loggia e di chiamare finché da ogni vicolo buio siano accorsi tutti sulla piazza, circondandomi, per dire alla folla in ascolto che so della nascita del mondo e dell’origine dell’uomo e di come ogni roccia e ogni pianta e ogni animale ci siano fratello e sorella, finché venga a cessare ogni sofferenza nel pubblico silenzioso e la gioia della conoscenza esploda in un unico, enorme grido di libertà”. Abbiamo riportato parte di questo scritto perché in effetti è la stessa impressione, la stessa meraviglia che ha subito colpito anche noi.

Laddove pascolano le capre…

Traù è in effetti una di quelle piccole città storiche senza cui i secoli passati ci apparirebbero vuoti, deserti. Fu costruita gradualmente all’imboccatura di una vasta baia fra l’isola di Čiovo e la terraferma. Le sue origini non vanno cercate nei miti e nelle leggende, perché la sua storia è ben definita ed è stata sistematicamente scritta dal celebre storico Ivan Lucius-Lučić (1604-1679), praticamente il fondatore della storiografia croata moderna. A fondarla furono i Dori, stirpe ellenica di Siracusa, valorosi navigatori e migratori che sotto la guida di Dionisio fondarono Issa sull’isola di Vis nel 390 a.C. facendone il centro della loro nuova patria e da lì, conquistarono via via la costa dalmata. E fu così che nel III secolo a.C. da queste parti venne fondata anche la nuova colonia di Tragurion, “dove pascolano le capre”, in quanto il posto era pieno di pecore e di pastori illirici.

La punizione di Cesare

Arriviamo quindi al tempo dei Romani quando dopo la vittoria su Pompeo, Cesare punì Issa per il suo tradimento: pose fine alla sua autonomia, le tolse i possedimenti di terraferma e logicamente, lo stesso Tragurion. Però la celebre Tabula Peutingeriana indica questa località ancor sempre come porto di grande importanza e granaio statale. Infatti, qui si erano nel frattempo sviluppati sia l’agricoltura (oliveti e vigneti), che l’artigianato e il commercio, tanto che l’imperatore Claudio (41-54 d.C.) vi insediò i propri veterani. Ma dell’epoca romana non sono rimaste tracce di rilievo. E c’è anche da aggiungere che il comune medioevale sviluppatosi in seguito, distrusse completamente l’originaria struttura urbanistica.

Il caos del primo Medioevo

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel V secolo, Traù rientrò in una speciale provincia militare sotto la potestà dell’esarca di Ravenna. Nel caos del primo Medioevo, non protetta da forti presidi bizantini, l’originaria popolazione fu costretta a vivere sotto la continua minaccia di orde che scorrazzavano per i Balcani. Fu in seguito alle conquiste di Carlo Magno che passò, con le altre città e castelli istriani e dalmati, sotto la dominazione franca che durò praticamente fino all’814 quando iniziò l’infiltrazione dei Croati i quali nel IX secolo iniziarono a costruire le loro case, le loro chiesette adoperando colonne e capitelli della non lontana e distrutta Salona. E fu così che, dalle macerie di una grande civiltà tramontata, ne sorse timidamente una nuova.
Quindi nei secoli si susseguirono i conflitti per la successione sul trono croato, conflitti che ben presto richiamarono anche sotto Traù le galee armate veneziane. Il doge Pietro Orseolo sfruttò adeguatamente lo scontro fra Svetoslav Suronja e i suoi fratelli minori Krešimir III e Gojslav per conquistare una parte della Dalmazia. In tal modo Traù cominciò a svilupparsi secondo i progetti urbanistici medievali: diventò importante sede vescovile, al vertice dell’amministrazione arrivò un priore, un podestà, rettori, giudici e consoli. La parola decisiva in tutte le questioni spettava al vescovo che la annunciava nella cattedrale ed i cittadini la accettavano per acclamazione.

Dopo i Saraceni… la miseria

Nel 1123, un improvviso attacco dei Saraceni distrussero completamente la città. Fu un breve periodo di miseria ma già nella seconda metà del XII secolo la vita andò gradualmente normalizzandosi. Prima di tutto vennero costruiti forti e bastioni e soltanto dietro, al sicuro, case, strade, piazze… Su quella centrale sorse la maestosa cattedrale al posto di quella distrutta dai Saraceni. Il promotore dei lavori fu il vescovo Treguano che scrisse anche una storia della città. Nella costruzione si distinse particolarmente il maestro Radovan, tra l’altro autore del maestoso portale, eccezionale esemplare dell’arte romanica europea. Sotto il suo scalpello, accanto ai motivi del Nuovo Testamento, nacquero scene della vita quotidiana e decorazioni di motivi vegetali che tradussero in realtà la vita nei campi attorno.

Il rifugio di re Bela IV

Nel 1242 un’altra grave minaccia per Traù fu l’invasione dei Mongoli lanciati all’inseguimento di re Bela IV, il quale nella città venne accolto con i massimi onori e con una galea passò da Čiovo alla più sicura isoletta vicina che in seguito prese il nome di Kraljevac (isola del re). Per dimostrare la sua riconoscenza il re cedette in dono tutti i possedimenti spalatini, dono questo che fece divampare una guerra tra Spalato e Traù, vinta da quest’ultima dopo due anni di battaglie.
In effetti, a quei tempi i successi di questa città derivarono in primo luogo dallo sviluppo della sua economia: agricoltura, allevamento del bestiame, artigianato con orefici, pellicciai, pellai, scalpellini, calzolai… Anche la pesca ebbe una rilevante importanza e nel XIII secolo presero a funzionare mulini ad acqua per la macinazione del grano. L’intera ricchezza della città era tuttavia in mano a poche famiglie patrizie, ai vescovi ed ai cinque grandi conventi. Dalle loro file si eleggevano i membri del Gran Consiglio. È interessante notare come in quei tempi, in base allo Statuto, i funzionari pagati erano: il notaio, il medico condotto, il farmacista, le guardie diurne e notturne e addirittura gli spazzini! Centro della vita pubblica era la piazza davanti la cattedrale. Qui i cittadini ascoltavano i proclami, commerciavano, assistevano allo spettacolo dei condannati alla colonna infame, festeggiavano le vittorie sui nemici, si divertivano nelle sagre popolari.

Il potere assoluto del conte-capitano

Poi arrivò il Leone di San Marco e le cose cambiarono. Contestando la cessione della Dalmazia nonché lo strapotere della Serenissima, con l’aiuto dell’ammiraglio genovese Ugolino Doria, vennero rafforzati il porto e le torri di difesa. Ma la resistenza della popolazione sotto la guida del rettore Vetturi venne piegata da un’ininterrotta pioggia di palle di pietra sparate dalle bombarde veneziane. Fu così che le milizie del capitano Loredano entrarono a Traù. Vennero subito abolite tutte le libertà comunali, imposto un conte-capitano con poteri assoluti che governò con l’assistenza del Consiglio dei nobili, ai membri del quale era permesso di esprimersi soltanto in italiano. E fu così che il XV secolo impresse a Traù l’aspetto che ha conservato fino ad oggi. Venezia cercò di manifestare la sua potenza costruendo palazzi pubblici ed inespugnabili fortezze a difesa dai turchi e da eventuali sommosse dei popolani. Anche i patrizi fecero a gara nel costruire i loro sfarzosi palazzi e parecchie ville fortificare anche a Čiovo e nel Golfo dei Castelli. La fuga da Traù dell’ultimo doge veneziano Santo Contarini nel 1797 segnò un breve periodo di anarchia. Poi arrivò il generale austriaco Matija Rukavina che s’impose con le sue milizie e dopo le grandi vittorie di Napoleone vennero create le Province Illiriche alle quali succedette il dominio dell’Austria. Fu così che la città venne declassata, quasi dimenticata, nella quale si reclutavano soltanto ottimi marinai.

La scomparsa dei leoni marciani

Abbiamo già ricordato che Traù ha incredibilmente conservato le forme e i volti del suo passato sui selciati, sui portali, sui campanili, sulle torri, sui palazzi. Anche sulle modeste casette del popolo. La città è un vero scrigno di tesori. Sui suoi monumenti sono rimaste le impronte di tutte le epoche: dalla Porta Civitatis (con ornamenti rinascimentali) ai muraglioni con la torre Vitturi (con archi e corridoio coperto per le guardie; dal forte Camerlengo a quello di San Marco (costruito dai Veneziani del XV secolo); dalla Porta di terraferma alla Loggia (già pubblica aula della giustizia con un rilievo di Nicola Fiorentino); dalla basilica di San Martino (a tre navate, paleocroata) al convento con la chiesa di San Nicolò; dal Palazzo del comune alla cattedrale di San Lorenzo (romanico-gotica e con l’atrio di Radovan sormontato dal campanile); dalla Torre dell’orologio con la Colonna infame a Santa Maria Rotonda; dal Palazzo Cippico a quello dei Garanin-Fanfogna; dal Palazzo de Andreis a quello dei Lučić alle numerose chiese: San Giovanni Battista (dei benedettini), San Pietro, San Domenico (con una pala di Palma il Giovane), la Madonna del Carmelo, San Michele… E quindi la Casa Romanica, il Battistero, la Capella del Beato Orsini e le varie collezioni di arte sacra, il Lapidario cittadino ecc. ecc. Dunque, come si vede, una città di grande interesse artistico.
Per finire accenneremo al fatto che qui non ci sono più i Leoni di San Marco. Quando in Italia, con l’avvento di Mussolini, fu in auge il motto “Ovunque c’è il Leone di San Marco ivi è l’Italia”, la popolazione reagì sdegnata e il 1.mo gennaio 1932 dimostrativamente vennero rimossi tutti i simboli di Venezia e della faccenda se ne parlò persino alla Società delle Nazioni di Ginevra!

Roberto Palisca su “La Voce del Popolo” del 4 agosto 2012

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