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Sul Carso 100 discariche e 300 grotte inquinate (Il Piccolo 04 ott)

di MARTINA MILIA

TRIESTE Almeno 100 le discariche, oltre 300 le grotte inquinate. «Per decenni sull'altopiano carsico si sono scaricati rifiuti tossico nocivi quali idrocarburi, metalli pesanti, acidi, amianto, scorie radioattive, fanghi industriali. In alcune grotte si trovano tuttora dei veri laghi di petrolio. La contaminazione dei corsi d'acqua sotterranei tra i quali il Timavo è stata pesantissima».

L’altra guerra, quella che si è combattuta parallelamente alla guerra fredda, sotterranea e silenziosa, contro il territorio, ha lasciato segni profondissimi e difficilmente superabili, ha avvelenato una provincia che, per avere giustizia, dovrebbe vedersi riconoscere «il reato di disastro ambientale che non va in prescrizione». A sostenerlo Roberto Giurastante di Greenaction transnational che ha raccolto un dossier per ricostruire l’avvelenamento del territorio triestino e carsico con apice negli anni ’80 e con «la compiacenza di tutte le istituzioni: dalla politica alla magistratura».

Greenaction racconta di una terra di conquista, fortemente militarizzata per cui «nelle discariche del sistema realizzate dall’altopiano Carsico al mare non si trovano solo i rifiuti comuni. Ma anche e soprattutto quelli “speciali” a testimonianza dell’intensa attività svolta da questo sistema di potere deviato».

Lo sfruttamento del territorio giuliano «ad uso discarica speciale di Stato inizia alla fine degli anni ‘50 poco dopo il ricongiungimento di Trieste all’Italia avvenuto nel 1954. Con una pianificazione accurata le amministrazioni pubbliche decidono di realizzare grandi discariche a partire dalla fascia costiera per poi estenderle fino al Carso dove vengono sfruttate in particolare le doline e le grotte».

Come spiega il dossier «sul Carso si riempivano le doline (e anche le cave dismesse) fino a livellarle o a sopraelevarle trasformandole in colline. Sopra veniva steso uno strato terra e si procedeva a una rinaturalizzazione forzata (impianto di essenze vegetali), magari anche tramite vigneti (finanziati come interventi agricoli). Le grotte (sono oltre 300 quelle inquinate od ostruite nella Venezia Giulia) venivano utilizzate prevalentemente per i rifiuti liquidi (idrocarburi, acidi, fanghi industriali) o per quelli tossico nocivi più pericolosi (esplosivi, materiale radioattivo) che non dovevano lasciare tracce. Oggi bonificare le grotte avrebbe dei costi enormi – precisa Giurastante – per cui nessuno se ne preoccupa. Gli inquinanti, però, sono penetrati nel terreno e nella falda ampliando le dimensioni dell’inquinamento».

Poi c’erano le discariche sulla costa «con lo scarico diretto dei rifiuti a mare con progressivo ampliamento. Questi interventi venivano definiti di interramento e hanno interessato l’intero arco costiero da Barcola (piena zona balneare) fino al confine con la Slovenia (Muggia) passando per il porto di Trieste. Una trentina di km di discariche costiere. Sopra queste discariche sono state insediate attività produttive, industriali, banchine portuali, attività diportistiche-ricreative, e anche stabilimenti balneari» aggiunge Giurastante.

Infine, le discariche tra l’altopiano carsico e la costa. «Le due più grandi – prosegue Greenacion – sono state ottenute interrando le zone umide (valli) delle foci dei torrenti Rosandra e Ospo e trasformandole in zona industriale sopra la quale sono state insediate 350 aziende. Le due valli, e in particolare quella delle Noghere, hanno assorbito milioni di metri cubi di rifiuti tossico nocivi. Nella sola valle delle Noghere il terreno è stato rialzato con spessori medi di due-tre metri (che in alcuni punti arrivano a sette). Tutto questo è stato fatto in perfetto coordinamento tra amministrazioni pubbliche locali e istituzioni nazionali».

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