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Storie della Grande Guerra. Italiani nel campo di internamento di Martonvásár – 12nov14

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

 

Leggendo l’articolo pubblicato sul numero 4 di “Difesa Adriatica” riguardante l’internamento subito dalle nostre popolazioni nei territori dell’Impero austro-ungarico, mi è tornato alla mente quanto subito da mia madre Paola Stranich. Allora ventenne fu “trasferita” con la nonna Maria Matich in Ungheria e precisamente a Martonvásár a sud di Budapest, nella provincia di Fejer tra il lago Velence e il Danubio.

Lì, stesa su un pagliericcio, la nonna morì; la mamma, priva di ogni cura, perse purtroppo un occhio. Un tragico ricordo che faceva sempre piangere la mamma. Mi sono però sempre chiesto: perché questa deportazione di persone con cognomi per niente italiani, con il nonno militare austro-ungarico? Con l’Austria che aveva un occhio di riguardo verso i croati istigandoli contro gli italiani?

Gradirei inoltre sapere se a fine conflitto sia stato fatto un censimento minuzioso di questi internati: dove sono esattamente finiti, quanti sono morti nei lager, hanno collaborato i Paesi interessati?

 

Ruggero Cipolla

 

 

Abbiamo chiesto al Presidente onorario Lucio Toth, profondo conoscitore della storia del Novecento e del periodo al quale il nostro lettore fa riferimento nella sua lettera, di predisporre un’esauriente descrizione del contesto e delle cause che determinarono deportazioni e internamenti da parte delle autorità austro-ungariche di migliaia di cittadini di nazionalità italiana.

 

I «campi di internamento» per civili furono inventati già durante la Guerra di Secessione americana nell’Ottocento e nella guerra anglo-boera agli inizi del Novecento: i cittadini di un Paese straniero in caso di guerra dichiarata o annunciata, o anche i propri cittadini sospettati per la loro nazionalità o religione di possibile connivenza con un Paese nemico, venivano allontanati dalla loro sede di residenza e raccolti in campi di internamento in regioni lontane dalle frontiere. Non erano campi di sterminio, come i lager per ebrei e zingari in epoca nazista, ma certamente non erano luoghi di soggiorno gradevole…

 

Così fece l’Austria-Ungheria nella primavera del 1915 con i numerosi cittadini italiani residenti nei territori dell’impero asburgico, generalmente nelle città a prevalente popolazione di nazionalità italiana come Trieste, Trento, Fiume, Gorizia, Pola, Zara, ecc. o con forti minoranze italiane autoctone, come Bolzano, Spalato, Sebenico e altre cittadine della costa dalmata. Operò allo stesso modo anche il governo italiano con i cittadini austriaci e tedeschi residenti nel Regno.

 

La situazione era particolare nelle province dell’impero austro-ungarico abitate da italiani, detti anche «austro-italiani», e quindi Trentino, Friuli orientale, Trieste, Istria, Quarnaro, Dalmazia. Questi «italiani» potevano essere o «regnicoli», ossia originari di varie regioni del Regno d’Italia e ancora in possesso della cittadinanza del Regno, oppure «autoctoni», come la maggior parte delle popolazioni del Trentino, di Trieste, dell’Istria, del Goriziano, delle isole quarnerine e di Zara. Ovviamente gli autoctoni erano in proporzione notevolmente maggiore, secondo l’ultimo censimento austriaco del 1910, e di conseguenza cittadini austro-ungarici.

 

Approssimandosi o prevedendosi una guerra con l’Italia il governo di Vienna dispose l’internamento in regioni lontane dell’impero (Moravia, Ungheria, Stiria, Transilvania, ecc.) di tutti i «regnicoli» e di alcune decine di migliaia di italiani autoctoni delle regioni alpine e adriatiche. Si calcola in circa 40/50.000 persone i trentini internati e in 50/60.000 i triestini, gli istriani, i goriziani, i fiumani e i dalmati di nazionalità italiana.

 

La scelta delle autorità di polizia austriache era duplice: 1. da un lato le persone più in vista del partito autonomista filo-italiano, sostanzialmente irredentisti che desideravano l’unione alla Madrepatria, dopo le delusioni delle sconfitte militari italiane a Lissa e a Custoza del 1866 (III Guerra d’indipendenza), che avevano impedito all’Italia di estendere le annessioni al di là del Veneto e del Friuli centro-occidentale. Così furono internati interi Consigli comunali dei Comuni ove il partito autonomista era maggioritario. 2. dall’altro, forse per un eccesso di prudenza, intere famiglie di ogni ceto sociale sospettate di simpatie per l’Italia e residenti in zone di particolare valore strategico, come la base della Marina austriaca di Pola.

 

Riguardo ai cognomi di questi internati per simpatie filo-italiane occorre tenere presente che nell’Ottocento, fino ai primi del Novecento, il carattere prevalentemente italiano di città come Trieste, Fiume, Gorizia, Zara, ecc., aveva una forte capacità di assimilazione linguistica e culturale sulle persone e le famiglie che arrivavano sulla costa giuliana e dalmata dall’hinterland o da altre regioni dell’impero asburgico. Di qui tanti cognomi croati, sloveni, tedeschi, ungheresi, polacchi o boemi degli stessi leader dei partiti filo-italiani, come Roberto Ghiglianovich a Zara o Antonio Grossich a Fiume, nonché di scrittori, poeti o caduti «irredenti» della Grande Guerra. Si pensi a Scipio Slataper o a Gianni e Carlo Stuparich, o al simbolo stesso dell’irredentismo Guglielmo Oberdan.

 

Nelle città “austro-italiane” il cognome non aveva più alcun significato di appartenenza nazionale. C’erano italiani con cognomi croati o tedeschi e c’erano croati e tedeschi con cognomi italiani!

 

Le condizioni in questi campi di internamento austriaci erano spesso molto dure, o per la “cattiveria” o l’incuria dei comandanti, o semplicemente per la grave carestia che affliggeva l’intero impero asburgico durante la Grande Guerra. Le condizioni disastrose delle province austro-ungariche, in paragone a quelle del Regno d’Italia, sono poco note. Ma gli italiani di quelle parti le hanno sperimentate di persona.

 

Sono state pubblicate di recente alcune ricerche attendibili su questi campi di internamento, specie per quanto riguarda la regione trentina, ma anche per le popolazioni internate dell’Istria.

 

Credo che il nostro lettore possa essere orgoglioso di sua madre e dei suoi avi che per amore dell’Italia hanno patito sofferenze e umiliazioni, anche ai tempi della “civilissima” Austria!

 

Lucio Toth

Presidente onorario Anvgd

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