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Spalato e l’identità croata – 25nov14

 

Non sarà passata inosservata la notizia, pubblicata il 31 ottobre scorso sul quotidiano di lingua italiana di Fiume, “la Voce del Popolo” e ripresa sul nostro sito, della deposizione da parte del vicesindaco di Spalato Goran Kovačević di una corona d’alloro alla targa che, presso la scuola di musica “Josip Hatze” ricorda l’istituzione nel 1882 della prima amministrazione croata della città dalmata. «Questa è una delle date più importanti della storia di Spalato, è una pietra miliare, perché ha segnato un cambiamento di rotta per la città. Infatti, da quel giorno si cominciò a parlare in lingua croata, ma non soltanto in Municipio. Anche nelle biblioteche e nelle altre istituzioni si smise di parlare in lingua italiana», ha dichiarato, evidentemente con viva soddisfazione, il vicesindaco, il quale ha anche aggiunto – come riferito dal quotidiano fiumano –, che «la celebrazione di quest’importante ricorrenza verrà fatta propria anche dal Consiglio municipale, per cui in futuro le cerimonie avranno forma ufficiale. In questo modo dimostreremo gratitudine nei confronti dei nostri antenati che hanno combattuto per la lingua croata e la sopravvivenza croata in questa regione».

Ora, tanto entusiasmo per la scomparsa di una componente cittadina e regionale storicamente eminente come quella italiana, ormai largamente minoritaria in Dalmazia, suona stridente e antistorica rispetto agli impegni che pure il governo e le amministrazioni di Zagabria hanno assunto nei riguardi dei valori europei di rispetto e salvaguardia delle minoranze nazionali: e tuttavia il caso aiuta a ricordare quanto complesso e lento possa essere il percorso che porti una società significativamente connotata da intolleranze di marca nazionalista e radicalmente identitaria verso una matura consapevolezza della rilevanza civile, culturale e giuridica della pluralità. Lo poneva bene in evidenza Gian Andrea Franchi il 23 agosto 2013 su Osservatorio Balcani e Caucaso: «La terra balcanica, infatti, è storicamente attraversata da un’incontenibile esigenza d’identificazione. Si sente a fior di pelle, attraversando i confini di quelle che erano le repubbliche della Jugoslavia federale. I Balcani mostrano, nel corpo del territorio e dei suoi abitanti, con un’evidenza teatrale spinta fino alla tragedia, che l’identificazione – avere un’identità, essere qualcuno – è il più grande bisogno/desiderio umano, più forte della fame e della paura della morte […]. E mostrano anche, tipicamente, il carattere androcentrico (patriarcale, maschilistico) dell’identità, o piuttosto dei processi di identificazione. Essi tendono al mito di una forma fissa, identica a se stessa, come un’idea platonica: essere ‘identici’, essere sempre gli stessi, essere se stessi una volta per tutte. Una forma fissa è, in quanto tale, esclusiva e intollerante».

Ora, commemorare esultanti la fine della secolare presenza italiana alla quale, peraltro, si deve tanta parte del patrimonio storico, artistico e monumentale di Spalato, non sembra proprio un’iniziativa illuminata e aggiornata alle raccomandazioni della legislazione europea né caratterizzata da adeguata sensibilità storica: nel cuore profondo di non pochi settori delle nazioni sorte dal disfacimento della Jugoslavia si alimenta ancora l’atavica, quasi ossessiva fiamma dell’identità esclusiva e intollerante.

 

 

Patrizia C. Hansen

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