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Radossi da Rovigno: gli italiani dovevano restare (Voce del Popolo 29 apr)

ROVIGNO/UMAGO – Prosegue, nelle Comunità degli Italiani dell’Istria e di Fiume, la presentazione del film “Italiani sbagliati. Storia e storie dei rimasti” di Diego Cenetiempo. Questa sera il documentario verrà proiettato alla CI “Fulvio Tomizza” di Umago, con inizio alle ore 19. Intanto, la serata di Rovigno, al Centro multimediale, ha riservato interessanti spunti di riflessione e approfondimenti. Ricorderemo che la presentazione dell’opera viene promossa dalla Casa giornalistico-editoriale EDIT di Fiume in collaborazione con gli enti locali. A Rovigno il lavoro è stato illustrato dal regista Diego Cenetiempo, nonché da Francesco Cenetiempo, che firma il soggetto e la scenografia. Il documentario è una specie di viaggio nella memoria, compiuto attraverso le testimonianze degli italiani che abitano ancora queste terre e attraverso filmati d’epoca. Si raccontano alcuni dei protagonisti delle vicende che, dal secondo dopoguerra ad oggi, hanno investito la Comunità Nazionale Italiana, quella dei rimasti; personaggi, o meglio scrittori, nati dalle esperienze di quel clima che ha visto la partenza dall’Istria di una consistente parte della popolazione della regione e le battaglie dei rimasti per la salvaguardia della loro identità nazionale. A far rivivere il travagliato periodo sono Ester Sardoz Barlessi, Alessandro Damiani, Mario Schiavato, Giacomo Scotti, Claudio Ugussi, con interventi pure di Silvio Forza, Elis Deghenghi Olujić, Raoul Pupo, Giovanni Radossi, MaurizioTremul.

Il documentario scorre fluidamente, ed è coinvolgente sotto l’aspetto emotivo; appare pertanto genuino, privo di forzature e commenti impropri. Gli autori infatti hanno contato, come rilevato da loro stessi, unicamente sulla disponibilità degli intervistati, e sui supporti loro forniti dalle Comunità degli Italiani. Francesco Cenetiempo ha presentato, al termine del filmato, il libricino che accompagna il DVD, edito anch’esso, da “Il Ramo d’Oro Editore” di Trieste, che insieme con Pilgrim Film, ha prodotto il filmato. La pubblicazione contiene un’introduzione di Nelida Milani, in cui la scrittrice di Pola considera i fenomeni letterari del nostro territorio in relazione ai contesti storico-sociali in cui essi sono nati e si sono sviluppati, visti, alle volte, attraverso la memoria personale, altre da quella collettiva. Un’analisi dei generi che hanno caratterizzato la creatività letteraria della CNI, con, nella seconda parte, riportati frammenti tratti dalla produzione letteraria dei singoli autori, e precisamente Alessandro Damiani, Anita Forlani, Claudio Ugussi, Ligio Zanini, Eros Sequi, Ester Sardoz Barlessi, Ezio Mestrovich, Giacomo Scotti, Lucifero Martini, Osvaldo Ramous e della stessa Milani. Il volume è stato curato da Francesco Cenetiempo e Gabriella Musetti, e va ad arricchire la Piccola Biblioteca Istriana.

Un tanto per la cronaca. Ma nella città di Sant’Eufemia un interessante fuori campo è stato l’intervento, non programmato, di Giovanni Radossi, direttore del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, che ha voluto fornire alcune precisazioni sui dati riguardanti l’esodo e i vari retroscena. Radossi ha anticipato una serie di analisi e frutti di una ricerca condotta sul materiale storico che verrà stampato con “Documenti dell’UIIF dal gennaio 1947 al maggio 1948”, una pubblicazione che dovrebbe uscire nel corso del 2010. Radossi ha letto due insoliti editoriali, il primo scritto da Palmiro Togliatti, leader del PCI – intitolato “Perché evacuare Pola” –, l’altro apparso sul quotidiano di destra, “La Voce Libera” di Trieste, che affrontava in chiave di denuncia, a pochi giorni dal Trattato di Pace di Parigi, lo stesso argomento, la questione dell’esodare o del resistere a Pola e in terra istriana, affermando tra l’altro: “La fuga degli italiani dall’Istria è una sciagura nazionale. (…) Gli italiani che restano a Pola, a Fiume, a Zara, in tutte le località nostre occupate dai titini, servono meglio la causa dell’italianità che non quelli che sfuggono alle minacce, alle torture, alla soppressione; ma non si può pretendere che tutti siano eroi.” Togliatti invece dedica il suo editoriale all’abbandono della città di Pola “da parte di una rilevante percentuale di italiani, partendo dal realistico presupposto che la loro permanenza a Pola difenderebbe meglio la sopravvivenza dell’italianità, inserendola nel contesto del quadro di una reciproca e feconda comprensione tra gli esponenti delle due nazionalità”. Dopo aver rilevato che non esiste alcuna decisione governativa favorevole all’esodo e che quindi questo assume aspetto “non ufficiale”, Togliatti si chiede se il fenomeno possa essere definito spontaneo; tuttavia, conclude che “se nessuno ha deciso a favore, certamente nessuno ha parlato contro lo sgombero degli italiani da Pola, ed è questo che a me sembra un errore, errore serio di politica internazionale. A parte il fatto che lo sgombero in questione può fornire una giustificazione a coloro che sostengono essere Pola città non italiana, ma ‘italianizzata’ artificialmente dopo il 1918, per cui i ‘polesani’ importati non avrebbero nessun interesse a fermarsi nella città.” Togliatti si interroga di conseguenza perché una posizione di italianità debba essere abbandonata così precipitosamente e insensatamente: “In altre parole, se gli italiani abbandonano Pola, Pola non sarà più una città italiana. E perché non deve più esserlo?”. Quindi, per Togliatti compito delle popolazioni istriane era quello di rimanere al loro posto per “diventare ponte ed anello di congiunzione tra due popoli, due Stati, due civiltà”.

Radossi ha proposto anche un passaggio dal libro “Fuggitivi” di Ivan Pauletta, scritto nel 2004. Due anni dopo lo storico fiumano G. Moravček parlerà dello “squallore di Fiume” dopo l’esodo, quando gli italiani che se ne andarono lasciarono non solo beni materiali ma cultura, abitudini, sofferenze e amori, che i nuovi venuti non compresero. Sul carattere punitivo del Trattato di Parigi si esprimerà, nel 2007, il pubblicista croato Jurica Pavičić, sul quotidiano zagabrese “Jutarnji list”: “Infatti, sia i Croati sia gli Sloveni sembrano dimenticare che anche l’odierno litorale sloveno e il conteso golfo di Salvore/Pirano, nonché l’angolo nord-occidentale dell’Istria, non sono né sloveni né croati per giustizia, per il semplice motivo che invece sono bottino di guerra. Questi territori, infatti, la Jugoslavia di Tito li ha avuti a titolo di soddisfazione e di prezzo di riscatto (taglia) per la crudele e ingiusta annessione italiana della Dalmazia, ovvero per l’occupazione di Lubiana, Sussak, Mostar e Podgorica.
Quale ‘indennizzo’ per siffatta porcata italiana, gli jugoslavi hanno ottenuto dei territori che erano culturalmente, linguisticamente ed etnicamente in stragrande maggioranza italiani”. Infine, Radossi si è soffermato su un testo di “Contabilità demografica” che attesta gli alti e bassi numerici subiti dalla popolazione italiana dell’Istria dal settembre 1943 al maggio 1945, quando contava ancora circa 250-300.000 unità. Il censimento del 1991 registrerà circa 24.000 italiani. Un bilancio, quest’ultimo, che fa certamente male. Testimonia il sacrificio di un territorio e delle sue genti, un tributo che non può trovare giustificazione nemmeno a distanza di più di mezzo secolo.

Eleonora Brezovečki

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