Non scriveva libri divorato dall’ansia di pubblicarli. No, Pier Antonio Quarantotti Gambini aveva un altro obiettivo: voleva durare. Sperava di trovare un posto, nel tempo, tutto per sé. Tra passato e futuro. Così, stava lì a cambiare e correggere, modificare e rifare le sue pagine. Chiedendosi: «Quanti libri di trent’anni fa vengono letti e ristampati? Vedi dunque che non sbaglio se perfeziono ogni mio libro, in vista, non tanto dei lettori del momento, quanto di quelli del futuro?».
E a rileggere oggi le sue lettere agli editori, il dialogo serrato con amici preziosi come Bobi Bazlen, le note che lo scrittore andava seminando attorno ai romanzi, ci si accorge che Quarantotti Gambini era davvero molto avanti rispetto al suo tempo. Perché riusciva ad anticipare alcune trovate editoriali che, oggi, ottengono risultati importanti sul mercato dei libri. Non a caso una delle sue studiose più attente, la triestina Daniela Picamus, ha scandagliato a fondo l’archivio personale, donato dalla famiglia all’Istituto per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste, e altri archivi per mettere a punto un saggio documentato e pieno di rivelazioni: Pier Antonio Quarantotti Gambini. Lo scrittore e i suoi editori pubblicato da Marsilio nella collana “I giorni” (pagg. 247, euro 23) con il contributo dell’Irci.
Quarantotti Gambini non faceva parte di quella razza di scrittori che considerano i propri testi intoccabili. Anzi, la sua “Rosa rossa” è stata un laboratorio aperto per quasi tutta la vita. E quando l’editore francese Gallimard gli impose di tagliare quasi 200 pagine della “Calda vita” per l’edizione francese, lui prese al volo quell’idea E decise di proporre all’editore Giulio Einaudi e al fidato agente Erich Linder una soluzione per quei tempi sconvolgente. In pratica, avrebbe estrapolato la parte triestina del romanzo, lasciando solo quella relativa all’arrivo sull’isola. Così ne avrebbe ricavato due romanzi distinti. Peccato che i tempi non fossero maturi per ipotesi così ardite. Non se ne fece niente, nemmeno quando Florestano Vancini trasformò il libro in un non eccelso film con la luminosa Catherine Spaak
Sessant’anni più tardi, Mondadori avrebbe applicato un’idea del genere al fluviale romanzo “Il fuoco amico dei ricordi” di Alessandro Piperno. Che dopo l’accoglienza piuttosto modesta riservata alla prima parte, “Persecuzione”, ha portato lo scrittore romano a vincere il Premio Strega 2012 con la seconda parte, “Inseparabili”.
Laureato in Giurisprudenza, convinto fin da giovanissimo che la scrittura non fosse per lui l’unica via («Se io riuscissi ad avere una famiglia e a guadagnare un poco, credo che sarei tanto contento che non scriverei più. È strano, io penso a quando non scriverò più come alla felicità. In fondo, non ho mai desiderato di diventare uno scrittore. Mi sarebbe piaciuto essere un grande generale e vincere tante battaglie»), Quarantotti Gambini era entrato molto presto in contatto con l’Italia di navigazione di Genova. Occupandosi di pubblicità: era, in sostanza, una sorta di copywriter. Quel lavoro, che avrebbe lasciato abbastanza presto, sembrava perfetto per lui. Molto più del giornalismo, a cui si dedicò in seguito, senza eccessivo entusiasmo.
Se all’Italia di navigazione consigliava come pubblicizzare la linea che attraversava il Canale di Suez, pesando con attenzione ogni singola parola, quando aveva iniziato a dialogare con i maggiori editori italiani (da Treves a Garzanti, da Einaudi a Mandadori), non si era trovato impreparato. Nelle lettere editoriali, infatti, dimostrava di sapere perfettamente come si accompagna un libro sul mercato. Dettava le sue condizioni economiche con semplicità e chiarezza, senza ingordigia. Evitava di promettere manoscritti nuovi se sapeva benissimo di non avere niente di buono, di pronto tra le mani. Indirizzava lamentele precise quando era convinto che qualcosa non funzionasse troppo bene.
Nella tormentata vicenda editoriale che ha segnato “L’onda dell’incrociatore”, vincitore del Premio Bagutta nel 1948 con un titolo suggeritogli dal grande poeta Umberto Saba, si rivolgeva a Einaudi senza peli sulla lingua: «Non avrei mai pensato che un mio romanzo affidato a un editore del Suo nome e della Sua organizzazione avrebbe incontrato, per vedere la luce, tanti intoppi e tanti contrattempi La mia stessa fiducia nella Sua casa comincia ad essere alquanto scossa».
Convinto che i suoi libri attirassero soprattutto un «pubblico colto», pur senza snobismi, Quarantotti Gambini seguiva tutte le tappe nella gestazione di ogni suo libro. Arrivando a suggerire la frase da mettere sulla fascetta d’accompagnamento. Lamentandosi quando veniva sbagliato il tempo di invio nelle librerie. Rendendosi perfettamente conto quando tirava una brutta aria per un suo lavoro. “Primavera a Trieste”, per esempio, lasciava perplesso e imbarazzato Einaudi. Forse perché “fuori linea”, dal punto di vista politico, rispetto agli altri volumi delle collane.
Nel libro della Picamus, si scopre anche la grande generosità di Quarantotti Gambini. Che, su richiesta di Anita Pittoni, non esitò a proporre a Einaudi un’antologia dei migliori scritti di Stuparich, uscita con il titolo “Il ritorno del padre” proprio mentre l’amico Giani stava morendo. E il bello è che Pier Antonio non volle prendersi nessun meritò. E riuscì anche a sventare un’inopportuno intervento di Giorgio Bassani, che si era mezzo di mezzo per offrire l’uscita di un’antologia, più o meno analoga, con Feltrinelli.
Morto lo scrittore troppo presto, nel 1965, tra le mani del fratello Alvise rimase, tra l’altro, uno degli inediti più emozionanti e anomali nella sua produzione letteraria. Quel “Racconto d’amore” in versi in cui Quarantotti Gambini decise di svelare la sua passione per la pittrice triestina Franca Luccardi. «Sei stata la mia rondine / tu che sfrecciasti rapida / nel ciel dei miei vent’anni / per te rinati».
Un altissimo precipitare nei segreti del cuore, quel racconto in versi, che Einaudi non se la sentì di pubblicare. Uscito per Mondadori, è sparito troppo in fretta. Come tanti altri libri di questo grande artigiano del prodotto libro.
Alessandro Mezzena Lona
“Il Piccolo” 24 febbraio 2013