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Prenz: storia di una comunità istriana in Argentina (Il Piccolo 15 set)

Ha vinto il prestigioso Premio poetico dell’America Latina “Casa de las Américas” e non occorre aggiungere altro. È solo uno dei riconoscimenti di Octavio Prenz, poeta ma anche romanziere, traduttore, saggista, nato a La Plata in Argentina ma triestino d’adozione. Domani verrà omaggiato in un incontro al Caffè degli Specchi di Trieste (ore 18.30) a cura di Manuel Laghi, dal titolo “Poesia, vita, filosofia”.

L’esperienza di Prenz, che da sempre ha avuto un occhio di riguardo anche nei confronti dei più giovani, è consigliata a tutti coloro che, alle prime armi con il verso, vogliano accogliere le parole e l’esistenza di chi la poesia l’ha fatta davvero. Con l’aiuto, come lui stesso ammette, anche della filosofia: «Non molti sanno che ho studiato anche filosofia, oltre a lettere, mi mancavano due esami alla laurea. Naturalmente la conoscenza filosofica ha arricchito la mia scrittura. In origine queste due discipline convivevano in un rapporto più armonioso, basti pensare alle culture agrafe, dove anche i pensieri filosofici venivano espressi tramite i versi, essendo culture legate all’oralità».

E cosa ne pensa Octavio Prenz della poesia ai tempi di Internet?

«Una possibilità in più che ci regala l’epoca. In questo modo molti autori che non hanno la possibilità di diffondere i propri scritti, trovano qui un canale di divulgazione. Poi naturalmente il rapporto tra un poeta e la parola, tra un poeta e il mondo che lo circonda, è un’altra faccenda. E qui entra in gioco la semplicità con cui oggi si può “apparire”. Internet, in questo senso, dà la possibilità a molti individui di realizzare un desiderio, nello specifico permette a molti di “esibirsi” come autori. Per intenderci non sono pochi gli individui gratificati dal fatto che i vicini di casa possano riconoscerlo come poeta, magari perché appunto ha pubblicato delle poesie in Internet. Ma la poesia, ovviamente, è un’altra cosa».

Mi viene in mente una frase del suo romanzo, “La favola di Innocenzo Onesto, il decapitato”. Che si può fare oggi per resistere, per non «farsi cambiare la testa»?

«Si può resistere come nei tempi antichi. Il rapporto tra uomo e istituzioni non è cambiato più di tanto. Come nel passato credo che l’unica resistenza applicabile sia quella di individuare un proprio spazio e un proprio tempo che implichi anche la nostra vita affettiva. C’è quel bellissimo incipit di Valery ne “La crise de l’esprit”: adesso sappiamo che le nostre civiltà sono mortali. Questo per dire che la nostra epoca non è né peggiore né migliore di altre».

E tuttavia la sua è sempre stata una lirica sostenuta anche dalla satira sociale…

«Soprattutto per l’interpretazione della storia, oltre che per l’interesse sulla manipolazione del linguaggio. Ma è una satira riflessiva, più che combattiva. È un genere importante, ma non certo l’unico, anche perché prima di essere satira una poesia deve essere poesia, poi può essere tutto ciò che vuole».

A questo proposito è giusto chiedere un impegno civile ai poeti? O non è forse che il poeta o il romanziere fa quello che sa fare meglio, scrivere, e non per questo deve essere vincolato a una qualche ideologia?

«Scrivere bene è la prima cosa, ma è anche vero che non esiste poeta che non sia impegnato, anche chi scrive di fiori o di stelle, tutti sono impegnati. Per fare un esempio: nel mio ultimo romanzo il protagonista vorrebbe sottrarsi alla società del suo tempo, vorrebbe essere “intero”, più che integro, ma non ce la fa. Tutti, nel bene e nel male, siamo impegnati, perché qualsiasi cosa facciamo c’è sempre un altro che ci giudica».

Un libro o un verso che secondo lei meglio di altri rappresentino quest’epoca.

«Difficile rispondere, se proprio sono costretto scelgo “L’uomo senza qualità”, un’opera che ben rappresenta il Novecento, ma anche questo periodo».

E il verso che preferisce Octavio Prenz?

«In gioventù, un importante punto di riferimento è stato l’argentino Carlos Mastronardi, con cui ero in contatto epistolare, il poeta che anche Borges preferiva. Ha fatto di un certo rigore la sua bandiera. Diceva: “Bisogna scrivere soltanto quando non si può non scrivere”, e aggiungeva: “e sempre si può non scrivere”. Da lui ho imparato molto».

Prossimo lavoro?

«Ho appena finito un romanzo. Ora deve riposare alcuni mesi, poi deciderò se è cosa buona».

Su che cosa?

«La storia gira intorno a una comunità istriana e italiana del quartiere argentino dove sono nato, ma tento di evocare esperienze che vanno al di fuori di questa specificità identitaria. C’è un trucco simpatico che adotto per realizzare questo scopo, metto ai personaggi dei nomi inglesi, se reggono vuol dire che sono adatti a muoversi in un contesto che va al di fuori del loro rione».

Mary B. Tolusso

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