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Pirjevec mina dialogo italo-sloveno

Dopo decenni di reciproche accuse, forti tensioni e dolorose strumentalizzazioni, le componenti maggioritarie e più illuminate della maggioranza di lingua italiana e della minoranza di lingua slovena a Gorizia hanno avviato un dialogo nato sulla reciproca comprensione e sulla condivisione della verità e delle vicende storiche vissute da ciascuno.

C’è chi in questi decenni ha tratto evidentemente giovamento dalle divisioni etniche tra componenti che per secoli hanno convissuto pacificamente e proficuamente su questi territori. Ragioni ideologiche hanno creato e successivamente alimentato fratture tra italiani e sloveni. E com’era assai prevedibile vi sono forze, nei reciproci estremismi alimentati da un eccesso nazionalistico, che mal tollerano questa avviata pacificazione. Ecco come si giustificano provocazioni dall’una come dall’altra parte. Una di queste provocazioni, che hanno lo scopo di scongiurare questa pacificazione, rallentando il dialogo ed allontanando italiani da sloveni, è il libro sulle foibe di Joze Pirjevec presentato dall’ANPI – chissà perché non siamo meravigliati da ciò – a Gorizia, non a caso in occasione dell’anniversario delle grandi manifestazioni di piazza del 1946, in occasione delle quali i goriziana sciamarono tutti nelle strade e nelle piazze, in una grande cornice tricolore.

La militanza politica di Joze Pirjevec in un partito ex comunista sloveno erede ideologico dei “titini” è del resto facilmente riscontrabile. Come sono facilmente reperibili anche diverse informazioni su Pirjevec che rendono evidente in quale misura egli usi la storia come strumento di affermazione ideologica. Un suo libro s'intitola "Trst je nas" ("Trieste è nostra”), usando il grido dei titini che occuparono l'Istria e la Venezia Giulia.  In un altro suo libro (Vojna in mir na Primorskem), invece usa la definizione di "Primorskem", cioè di "Litorale sloveno", per indicare la Venezia Giulia.  Com’è noto il termine ed il concetto di "litorale sloveno" sono storicamente falsi, rilevato che gli Sloveni prima del 1945 non avevano mai abitato, e non nelle aree costiere, tranne la modesta minoranza di Trieste. La nozione di "Primorskem" è infatti una creazione dell'ideologia nazionalista slovena per giustificare la propria occupazione di territori, come Capodistria (in cui Pirjevec insegna), letteralmente da sempre italiani.

Insomma, Pirjevec parla di "liberazione" (?) dell'Istria, territorio a maggioranza italiana sino al 1945 e del "cosiddetto "Litorale sloveno" (anch'esso territorio a maggioranza italiana sino al 1945), rivendica il ruolo storico positivo dei combattenti titini del IX corpus (i massacratori delle foibe ed i responsabili dell'esodo) ed invita i politici croati e sloveni a non disputare sugli eventi del 1945, poiché l'Italia potrebbe trarne vantaggio.

E' lecito dire che un simile intervento e tali parole manifestano le preoccupazioni ideologiche e politiche di Pirjevec nel suo occuparsi di storia?

Il prof. Giuseppe Parlato, ritenuto sia da destra che da sinistra uno storico obiettivo e profondo conoscitore delle storia del confine orientale, commenta in questo modo il libro di Pirjevec: “Pensavamo che la questione delle foibe, dell’esodo e di tutto quello che era successo tra il 1943 e il 1947 nella Venezia Giulia, nell’Istria, a Fiume e in Dalmazia fosse avviata su una buona strada: la storia prevale sulla politica; il metodo degli studi, rigoroso e serio, prescinde dalle passioni e dalle ideologie; si riconosce la necessità di fare entrare quelle vicende nell’ambito di una memoria pubblica. Lo pensiamo ancora, anche se il volume scritto e curato per Einaudi dallo storico sloveno Joze Pirjevec fa davvero pensare il contrario, spostando indietro nel tempo il clima, l’approccio, le interpretazioni del fenomeno."

Questo “storico” sloveno pretende di ricostruire il passato operando dei drastici tagli nella propria analisi, per cui egli omette tutti gli accadimenti storici che infrangerebbero la sua tesi. Tale sua arbitraria selezione del materiale, consistente nell’espungere i dati contrari alla sua ricostruzione, risulta sistematica nel corso della trattazione, che parte sin dall’Ottocento.

Egli così non parla dell’alleanza fra governo austriaco e nazionalisti slavi nella persecuzione anti-italiana del periodo 1868-1918; non parla delle violenze anti-italiane degli Slavi durante il dominio austriaco, della chiusura di scuole, giornali, centri culturali, delle espulsioni di massa di Italiani, dei cognomi italiani slavizzati, dell’immigrazione massiccia di Slavi dalle zone rurali del Balcani promossa dal regime asburgico per sommergere gli Italiani, dei favori concessi a Sloveni e Croati dall’amministrazione asburgica nelle attività lavorative e nelle assunzioni ecc. La verità è che il governo austriaco si prefisse, secondo il verbale del Consiglio della Corona asburgica riunitosi nel 1868, di “germanizzare e slavizzare il Tirolo, il Litorale [ovvero la Venezia Giulia] e la Dalmazia, con la massima energia e senza riguardo alcuno”: ciò avvenne in stretta alleanza con gli Slavi del sud, che da sempre odiavano ed invidiavano gli Italiani per il loro ben maggiore livello culturale, economico e sociale. Anziché ricordare tutto ciò, il Pirjevec si sofferma unicamente sul nazionalismo italiano dell’800, che però non perseguitò in alcun modo gli Slavi, né avrebbe potuto farlo, essendo questi ultimi sotto l’amministrazione dell’impero asburgico, nettamente filo-slavo ed anti-italiano.

In questo modo, questo “storico” sloveno giunge ad un vero capovolgimento della realtà storica, facendo dei perseguitati (gli Italiani) dei persecutori, e dei persecutori (gli Slavi) dei perseguitati. La slavizzazione forzata della Dalmazia, le cui città erano, da sempre, interamente italiane è completamente dimenticata.

Similmente, nel proseguimento della sua analisi il Pirjevec non parla del terrorismo slavo in Venezia Giulia posteriore al primo conflitto mondiale, che fu guidato, organizzato, finanziato dal governo di Belgrado. Gli scontri che vi furono in questa regione fra Italiani e Slavi negli anni ’20 furono provocati dal terrorismo slavo, promosso da Belgrado. Anche qui il nostro “storico” tace sulle origini dei contrasti, e sulle attività terroristiche slave, limitandosi a parlare delle reazioni italiane.

Allo stesso modo, il Pirjevec ricorda l’occupazione italiana di parte della Jugoslavia nella seconda guerra mondiale, senza però dire che era stata la Jugoslavia stessa a dichiarare guerra all’Italia, sottoscrivendo un’alleanza politica e militare con il Regno Unito, in cambio della promessa di ottenere la Venezia Giulia, inclusa Trieste. Ancora, il Pirjevec non ricorda che l’occupazione italiana, lungi dall’essere oppressiva, all’inizio fu accolta positivamente dalle popolazioni slave, e che si giunse a violenti scontri armati in seguito all’inizio dell’azione di guerriglia dei comunisti locali, insorti dopo l’inizio della guerra fra Germania ed URSS. Le origini della guerra italo-jugoslava, e le crudeltà e violenze della guerriglia anti-italiana, sono quindi passate sotto silenzio da questo “storico”, in modo da poter presentare le foibe quale una “resa dei conti” con “fascisti”, una sorta di vendetta per l’operato italiano nei Balcani.

Infine, l’opera del Pirjevec giunge, dopo tale preparazione, all’argomento prefisso: le foibe e l’esodo di 350.000 Italiani dalla Venezia Giulia. Questo “storico” nega che tutto ciò abbia avuto connotazioni di pulizia etnica, e sostiene che le stragi colpirono quasi esclusivamente fascisti e furono vendette. In quanto ai 350.000 Italiani che fuggirono dalle terre avite e dai propri beni, egli dichiara che erano “indottrinati dal nazionalismo e dal fascismo a sentirsi razza eletta” e pertanto incapaci d’accettare di essere governati da slavi e comunisti. E’ facile osservare che soltanto una piccola parte delle vittime delle foibe erano fascisti, e che la grande maggioranza non aveva mai avuto a che fare con la politica, ed ancor meno si era resa responsabile di violenze. Similmente, non ha senso alcuno, ed uno storico dovrebbe capirlo, sostenere che l’intera popolazione italiana dell’Istria fosse compattamente fascista, e pretendere di spiegare la loro rapidissima fuga di massa dalle terre in cui vivevano da sempre, dalle loro attività e dalle loro proprietà.

Il discorso di Pirjevec è reso ancora più insostenibile dal fatto che esistono incontestabili documentazioni e testimonianze sulla natura pianificata ed organizzata della pulizia etnica compiuta dagli Slavi, e che predisposta da Tito stesso sulla base di un piano preciso. Già negli anni ’30 un Serbo, Cubrilovic, redasse un manuale, detto appunto “manuale Cubrilovic”, in cui veniva spiegato nel dettaglio come condurre un’operazione di pulizia etnica. Cubrilovic divenne poi uno stretto collaboratore di Tito, ed ebbe modo di applicare le sue teorie nelle diverse stragi e cacciate di popolazione che il regime comunista compì: a danno di Italiani in Venezia Giulia, di Tedeschi in Carinzia, di Ungheresi nel “triangolo magiaro”, di Bulgari in Dobrugia. Inoltre, M. Gilas, che fu per molti anni il braccio destro di Tito, confessò anni più tardi di essere stato inviato in Venezia Giulia con l’incarico di cacciare gli Italiani. Soprattutto, le violenze, le persecuzioni, le angherie contro gli abitanti dell’Istria e della Dalmazia che avevano la sola colpa di essere Italiani sono ben attestate, e furono esse la causa dell’esodo di massa.

Oltre agli errori storici, numerosi e gravi, dell’opera di Pirjevic, e tali da togliere ogni valore alle ipotesi di fondo, si deve ancora aggiungere che il testo è stato scritto con intenti chiaramente politici, ed è accompagnato da commenti, osservazioni ed interpretazioni inequivocabilmente ideologici.

Commenta ancora il Parlato: “la lettura ci fa ripiombare in piena «guerra fredda»: da un lato ci sono «le simpatie del proletariato per la causa della Jugoslavia» e dall’altro «le forze borghesi triestine». Gli antifascisti del Cln che contestano Tito sono preda di «una barriera psicologica (che) impediva agli antifascisti “borghesi” di collaborare con gli “slavi” per costituire un fronte unico contro i nazisti». Anche l’esodo che vide la fuga disperata lasciando i propri beni ha per protagonisti, secondo l’autore, italiani «indottrinati dal nazionalismo e dal fascismo a sentirsi razza eletta». […] Un particolare rivelativo è costituito dalla ricostruzione dell’eccidio di Porzûs. Pirjevec ricorre al vecchio armamentario togliattiano per gettare discredito sulla brigata Osoppo: era filofascista, anzi, filonazista, era responsabile di «maneggi», doppi e tripli giochi. Alla fine, l’eliminazione dei partigiani anticomunisti (che avvenne, come l’autore ricorda con eleganza, «a rate») viene definita un episodio «marginale» avvenuto all’insaputa del IX corpus jugoslavo. L’autore evidentemente dimentica che dal novembre 1944 all’eccidio (febbraio 1945) si realizza da parte titina una vera e propria persecuzione e snazionalizzazione contro gli italiani, con la connivenza delle formazioni del Pci, come testimoniano molti documenti inglesi: per cui Porzûs non è affatto un episodio marginale, ma è la conclusione di un percorso mirato all’eliminazione dell’unica formazione che non voleva accettare l’annessione del Friuli alla Jugoslavia.” Si ha quindi nell’opera di Pirjevic una visione manichea ed ideologica delle vicende storiche, con una contrapposizione fra gli Slavi, considerati quali comunisti e proposti in maniera positiva, e gli Italiani, giudicati tutti come fascisti e valutati del tutto negativamente.
 
Il Presidente del Comitato ANVGD di Gorizia, Rodolfo Ziberna

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