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Morto il patriarca ortodosso di Tito (Il Piccolo 16 nov)

BELGRADO Il patriarca della chiesa ortodossa serba, Mgr Pavle, è morto ieri a Belgrado all'età di 95 anni. Pavle – che era alla guida della chiesa serba dal 1990 – è deceduto nell'ospedale militare di Belgrado dove era ricoverato da due anni per varie malattie. Il governo serbo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale, a partire da oggi. La scomparsa di Pavle è una «grande perdita per il popolo serbo», ha commentato il presidente Boris Tadic, che ha sottolineato come il «Patriarca Pavle godesse di un immenso rispetto da parte di tutto il mondo cristiano, stimato dal Patriarca Russo così come dal Pontefice della Chiesa cattolica». Telegrammi di cordoglio sono stati inviati alla Chiesa ortodossa serba da tutti i politici e dalla totalità dei partiti, sia quelli al governo sia quelli all'opposizione. La salma del patriarca Pavle, nel primo pomeriggio, è stata trasferita dall'ospedale militare nella sede del patriarcato. La bara è stata scortata dai massimi prelati della chiesa e dal presidente Tadic. Dopo il rito funebre, la salma è stata esposta nella cattedrale di Belgrado dove i cittadini potranno rendere l'ultimo saluto al patriarca.

In segno di lutto ogni ora suonano le campane delle chiese in Serbia, Republika Srpska (entità serba della Bosnia-Erzegovina) e Montenegro e i cittadini sostano in silenzio davanti alle chiese, mentre le strade delle città sono deserte. Non si conoscono ancora data e luogo dei funerali, che saranno comunicati successivamente. Finchè non sarà eletto il nuovo patriarca le funzioni di guida della chiesa ortodossa saranno svolte dal Santo Sinodo. La chiesa ortodossa, come da tradizione, ha proclamato un periodo di lutto di quaranta giorni, e solo successivamente potrà essere eletto il nuovo patriarca. Anche l'arcivescovo cattolico di Belgrado, Stanislav Hocevar, e il nunzio apostolico, Orlando Antonnini, si sono recati ieri al patriarcato. Alla chiesa ortodossa stanno arrivando numerosi telegrammi di cordoglio, compresi quelli della comunità musulmana in Serbia .

I fedeli ortodossi nella Repubblica Srpska, Montenegro e in Kosovo hanno accolto con grande tristezza la notizia della morte del patriarca Pavle. A Belgrado la notizia ha provocato dolore e costernazione. Alcuni hanno espresso il timore che la morte del patriarca possa condizionare le relazioni all'interno della chiesa ortodossa serba, e c'è chi tra la gente ha sottolineato che «nella chiesa da tempo ci sono scontri». Questi timori non sono infondati, visto che anche gli esperti concordano sulle incertezze di una successione condizionata da influenze politiche e conflitti d'interesse. Una successione nella quale i favori sembrano andare per ora all' ultrasettantenne Amfilohije, metropolita del Montenegro non privo di ombre per i toni di comprensione manifestati in passato verso i criminali di guerra serbi, e non certo con fama d'innovatore. Ma considerato oggi relativamente moderato (e più in sintonia con il nuovo corso filo-europeo del presidente Tadic) rispetto ai nazionalisti più duri della Serbia di oggi. Uno sfondo su cui sembra svaporare l'estremo messaggio di riconciliazione affidato da Pavle ai confratelli dal letto di morte: «Dobbiamo pregare per coloro che sono nel bene, ma anche per chi riteniamo in cattiva fede, senza perdere la speranza che ciascuno si converta alla salvezza».

Un monaco dalla barba bianca, minuto, dall'aura d'asceta. È l'immagine che resta ai serbi di Pavle, patriarca di Belgrado, alla guida per 19 anni la Chiesa ortodossa serba in un intreccio di fede e politica non immune da scelte tanto drammatiche quanto controverse. Nato nel 1914 a Kucanci – terra serba dell'odierna Croazia – Pavle, al secolo Gojko Stojcevic, lascia l'eredità di una Chiesa forte d'una solida presa spirituale fra i serbi, ma ingabbiata dalle contraddizioni irrisolte di un senso di patria sfociato troppo spesso nel nazionalismo, nelle sanguinose guerre degli anni '90. E tuttora divisa fra radicali e moderati. Venuto alla luce in un lembo di fede ortodossa dell'allora impero austro-ungarico, in una famiglia devota nella Serbia monarchica degli anni '20 e '30, testimone della II Guerra mondiale e della mattanza di serbi perpetrata dal regime filo-nazista degli ustascia in Croazia, entra nel '48 nella vita ecclesiastica semiclandestina della Jugoslavia di Tito. Diventa vescovo ortodosso della Slavonia nel'57, in epoca di «disgelo», ma resta figura appartata, in ruolo pastorale fino agli anni '80 quando viene spostato a capo della comunità serba della già allora inquieta provincia a maggioranza albanese del Kosovo.

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