ANVGD_cover-post-no-img

Molti italiani non compresero la nostra tragedia (Il Gazzettino 05 feb)

Settantadue anni, dal 1968 a Belluno. Esule da Zara. Giovanni Ghiglianovich è uno dei trecentocinquantamila esuli istriano-dalmati che nel dopoguerra dovettero abbandonare la propria terra sotto la spinta della pulizia etnica attuata dalla Iugoslavia comunista del "maresciallo" Tito, dopo le inenarrabili violenze e nefandezze compiute dalle bande partigiane dalla stella rossa, di cui le foibe sono l’incontestabile documento.

Oggi Ghiglianovich è alla guida della sezione bellunese dell’Associazione Venezia Giulia Dalmazia, che a distanza di oltre sessant’anni continua a custodire la memoria di un popolo, ricco di tradizioni e cultura, condannato senza colpa a pagare il conto della storia.

Ghiglianovich, a distanza di tanto tempo è possibile collegare le parole perdono e ricordo?

Il perdono ci è stato insegnato dai nostri padri. È trasmesso dalla fede cristiana. Ma le condizioni non sono ancora tali da chiudere le ferite, soprattutto constatando che le presidenze di Slovenia e Croazia insistono sulle colpe del fascismo senza riconoscere quelle ben più gravi, con episodi di ferocia sanguinaria, di cui si rese responsabile il regime comunista di Tito.

Ma quali responsabilità porta l’Italia di allora?

La colpa del fascismo fu quella di credere di dover portare l’italianità in terre in cui quell’identità esisteva fin dai tempi delle dominazioni romana e veneziana. Ciò andò a scapito dell’elemento etnico slavo che per la politica lungimirante, prima di Venezia e poi degli Asburgo, era riuscito a trovare una buona possibilità di convivenza con la componente italiana.

I giuliano-dalmati si sono spesso definiti "esuli in patria". Che vuol dire?

Mi riconosco nella definizione. A cominciare dai nostri primi arrivi, fuggendo dalle regioni ormai nelle mani di Tito, trovammo spesso un’assai brutta accoglienza. A Venezia i portuali comunisti ci inveirono contro, tacciandoci di essere fascisti. A Bologna fecero anche di peggio, impedendo di rifocillarsi alle donne e ai bambini che gremivano un treno. Sono ricordi dolorosi. Ce li portiamo ancora dentro. Forse non tutti rammentano, poi, che fu proprio un ministro di allora, comunista, a bloccare la strada al progetto di far convergere in un’unica città o zona geografica, che era stata individuata nel Gargano, la popolazione dell’esodo.

Poi ci fu la rimozione del problema, le giovani generazioni sanno ben poco del vostro dramma…

Sì una grossa lacuna politica e culturale nella memoria nazionale, rimasta tale per sessant’anni. Vi ha fatto breccia nel febbraio 2007 il presidente Napolitano allorchè ricordò il colpevole a lungo protrattosi.

Come interpreta quel silenzio?

Porta il nome della convenienza e dell’opportunismo politico. Vede, quel silenzio, imposto da quella che doveva essere la madrepatria a noi che avevamo dovuto abbandonare tutto ciò che ci apparteneva, è stata una cosa intollerabile.

Cosa prova quando sente italiani, immemori, che chiamano Parenzo Porec, Pola Pula e Zara Zadar?

Siamo all’assurdo. Qui è proprio rifiutare la storia. Equivale a negare una cultura millenaria.

Qui a Belluno come sta operando l’Andvg?

Avevamo una sede all’ex Eca, che abbiamo dovuto lasciare per ristrutturazione. Alle varie amministrazioni abbiamo chiesto di poter disporre di un altro punto di riferimento, non ottenendolo per carenza di spazi. Ora si rende disponibile la caserma Tasso. L’importante sarebbe riuscire a collocare la nostra biblioteca. C’è tanto materiale che servirebbe per far conoscere la nostra storia. Soprattutto ai giovani.

Bruno De Donà

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.