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Messaggio di saluto del Presidente nazionale ANVGD, cav. Renzo Codarin, al primo convegno di “Essere Italofoni” – 25ott15

 

È con profondo dispiacere che ho dovuto rinunciare al Primo Convegno di “Essere Italofoni”, un progetto che dopo aver riscosso successo ed attenzione sul social network più frequentato al mondo, si concretizza con questa meritoria assise. La mia assenza, per la quale mi scuso con tutti gli illustri relatori ed il gentile pubblico, è dovuta ad un precedente impegno da assolvere presso il Comitato di Ferrara dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, il sodalizio che mi onoro di presiedere e che rappresenta la più ramificata e corposa realtà associativa del variegato mondo della diaspora giuliano-dalmata.

Tale vasta comunità discende da generazioni e generazioni che hanno assicurato la persistenza e la floridità dell’italofonia sulla costa orientale del mare Adriatico, collegandosi intimamente alla storia del resto d’Italia, a far tempo dall’Arena di Pola sino all’esperienza di Gabriele d’Annunzio a Fiume passando per le fortezze, le chiese ed i monumenti che la Serenissima Repubblica di Venezia eresse nei suoi possedimenti, che punteggiavano la costa da Muggia a Cattaro.

Strutture statuali diverse, dominazioni straniere differenti ed eventi storici di grande portata hanno apparentemente tenuto divisa nel corso dei secoli la componente italofona istriano-dalmata dal resto della penisola italica, ma proprio la lingua, la cultura e le tradizioni hanno in effetti gettato e consolidato un ponte tra le due sponde dell’Adriatico. Basti pensare che fu il letterato e patriota dalmata Niccolò Tommaseo a redigere i primi dizionari della lingua italiana.

La fase finale della dominazione dell’Impero asburgico fomentò gli opposti nazionalismi, andando perciò a minare la secolare pacifica convivenza tra gruppi etnici e culturali diversi che insistevano sui medesimi territori.

Le tappe più significative della persecuzione patita dall’italianità furono rappresentate dalla croatizzazione della Dalmazia, dall’incentivo all’immigrazione slava a Trieste e Gorizia e dalla chiusura delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, tenacemente contrastata da quella stessa Lega Nazionale che oggi ospita questo prezioso convegno.

Un esilio che non ha eguali” fu secondo molti istriani quello che patirono i civili durante la Prima Guerra Mondiale, allorché vennero sfollati a migliaia verso le baracche dei campi d’internamento allestiti in Austria per raccogliere in condizioni di estremo disagio coloro i quali venivano visti come le possibili quinte colonne della lenta e sanguinosa avanzata del Regio Esercito verso le province irredente. Costoro erano ignari della sciagura che un trentennio dopo si sarebbe abbattuta su 350.000 istriani, fiumani e dalmati: la breve appartenenza all’Italia unita si sarebbe conclusa con un traumatico distacco, avviatosi con la tragedia delle foibe.

Proprio le due ondate di massacri perpetrati dai partigiani di Tito contraddistinguono i momenti più significativi di scissione delle vicende giuliano-dalmate da quelle del resto della Nazione. La sera dell’8 settembre 1943 si diffuse l’illusione che la guerra fosse finita: la macchina bellica tedesca avrebbe rapidamente fugato tale impressione, laddove in Istria e Dalmazia un migliaio di morti per mano titina avrebbe reso ancor più traumatiche quelle convulse giornate di sfacelo militare, politico e istituzionale. In maniera ancor più clamorosa la fine della Seconda Guerra Mondiale, celebrata nell’Alta Italia come una vera e propria Liberazione, all’estremo nord-est avrebbe invece costituito solo l’inizio di una nuova violenta occupazione straniera, basata su deportazioni, processi sommari, uccisioni e violenze a danno di migliaia di connazionali.

Partendo da siffatti presupposti, il successivo esodo dei giuliano-dalmati segnò la fine di un tessuto sociale e ridusse ai minimi termini la consistenza dell’italofonia nell’Adriatico orientale.

Tuttavia, nei campi profughi prima e nei quartieri giuliano-dalmati in seguito, si mantennero le tradizioni, la cultura e i dialetti delle terre che erano state abbandonate. È così che oggi esuli e “rimasti” nelle sempre più frequenti occasioni in cui si incontrano comunicano fra loro in dialetto istro-veneto, dalmata oppure istrioto, le varianti che nel corso dei secoli i nostri avi hanno plasmato per rendere più intima, caratteristica e peculiare la propria italofonia.

Mi avvio a concludere ribadendo che l’ANVGD ha oggi lo scopo non solo di conservare la memoria delle vicende storiche che vi ho succintamente accennato, ma anche e soprattutto quello di corroborare l’italianità culturale e linguistica delle terre da cui sono stati violentemente allontanati decine di migliaia di nostri connazionali. Ecco perché saluto molto favorevolmente iniziative come quella odierna e auguro un proficuo svolgimento dei lavori: l’italofonia testimonia l’influenza e la vastità della cultura italiana al di fuori degli attuali confini statali e la vicenda degli istriani, fiumani e dalmati ne costituisce una componente fondamentale.

 

Renzo Codarin

Presidente nazionale Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia

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