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Messaggero Veneto – 300907 – Sessant’anni fa: la storia e il cuore dei giovani di Gorizia

di GUIDO MONDOLFO

 

C'è nella vita di ognuno di noi un momento, un ricordo che travalica il tempo e la nostra stessa esistenza per entrare a far parte della storia.

Della storia di Gorizia. Storia vissuta, sofferta negli infiniti episodi belli, tristi, drammatici, entusiasmanti che ci hanno accompagnato dall'immediato dopoguerra fino alla seconda Redenzione. Fu, quella, una stagione grande e irripetibile, forse la più bella della nostra vita, la più

cara alla nostra giovinezza. L'accordo di Duino, firmato dopo lunghe trattative fra le autorità militari anglo-americane e quelle Jugoslave l'11 giugno 1945, portò alla divisione della Venezia Giulia in due zone: la zona A di occupazione anglo-americana e la zona B di occupazione iugoslava. Rimaneva impregiudicata la questione dell'assetto territoriale di queste terre in attesa della decisione del

trattato di pace. Così dopo i terribili 40 giorni di occupazione titina, si arriva il 12 giugno 1945 all'amministrazione alleata. Gorizia è prostrata nell'assoluta incomprensione di tutto il resto della nazione. Gorizia sembra non poter avere più nemmeno il diritto alla speranza. Eppure quell'estate segna lentamente la ripresa. Sorgono due settimanali: il Lunedì di Pino Bon, e l'Informatore di Mario di Gianantonio sono le prime timide voci insinuatesi nel cuore dei goriziani che non attendono altro per poter reagire, sperare, per poter ancora credere. Ecco quanto scrissero nel tempo presidenti e dirigenti dell'Associazione Giovanile Italiana per ricordare gli avvenimenti di quella lontana stagione: «Ed è allora che i giovani prendono l'iniziativa; i giovani ritornati dai campi di battaglia, reduci da

esperienze di guerra; i giovani ancor più giovani, che esperienze non ne avevano passate, che uscivano dai banchi di scuola verso l'università, che avevano un futuro al quale non volevano rinunciare; i giovani che potevano guardare in avanti e interpretare l'animo dei goriziani e la volontà della città. L'azione nasce svincolata da ogni particolarismo e da ogni politicismo, nasce soltanto nell'affermazione cristallina della fede nella Patria, che è elemento unificatore oltre le classi; a nessuno fu mai chiesto come la pensasse partiticamente, ma a tutti fu chiesto di pensare, di credere, di operare esclusivamente in nome dell'Italia». La Lega Nazionale 1891, la Divisione Volontari Gorizia e l'Associazione Giovanile Italiana furono, assieme ad altre associazioni combattentistiche, il punto focale di raccolta e di riferimento della popolazione isontina. La Lega Nazionale con la sua intensa attività patriottica contribuì a ridare fiducia e coraggio ai goriziani. La Divisione Volontari Gorizia, con il generale Corsini e il professor Luigi Stanta, condusse dal 1945 al 1947 una lunga, dura, aspra

lotta con tenacia, rischi, sacrifici e pericoli, ma anche con grande competenza e senso di responsabilità, fino al conseguimento dell'obiettivo prefissato: il definitivo ricongiungimento delle nostre terre alla Patria. E poi l'Associazione Giovanile Italiana: fummo, posso dirlo oggi, la più bella gioventù, fummo anche noi dei contestatori, contestatori nel nome d'Italia.

Il risveglio, la rinata fiducia, la riscossa cittadina partirono dall'Agi. Il 5 agosto 1945 è la data della sua costituzione; il suo suggello avviene la domenica successiva 12 agosto con una manifestazione nella sala del cinema Centrale. Viene esposto per la prima volta dopo l'occupazione titina un tricolore italiano senza la stella rossa. Le tappe successive furono il 17 agosto, quando la sede dell'Agi (una piccolissima stanza di corso Verdi 25) fu assalita da una folla di dimostranti pro Jugoslavia inferociti poiché al balcone era esposta una bandiera italiana senza stella. La bandiera rimase a lungo al suo posto, difesa dai giovani dell'Agi. Poi fu tolta da un ufficiale inglese incaricato del servizio d'ordine. Il 13 settembre, un'altra storica tappa: al teatro Verdi di Gorizia una manifestazione di canto corale sostenuta dal coro della Fari di Udine diretto dal maestro Garzoni. Teatro gremito in ogni ordine di posti. Il coro di Verdi «Suona la tromba» erompe improvviso: e quando la gente sente gridare «Viva l'Italia / rivendica la gloria sua primiera / segno ai redenti popoli / la tricolor bandiera», un applauso lungo irrefrenabile, tutto il pubblico in piedi applaude con acclamazioni interminabili. Il coro fu ripetuto otto volte quella sera.

Non posso ricordare, evidentemente, tutto di quegli anni di fede e di lotta. Si attendeva in quei giorni di fine marzo 1946 l'arrivo della commissione alleata per la delimitazione dei confini. «La sede dell'Agi – riferiscono cronache e testimonianze – in corso Italia era un porto di mare, in cui tutti venivano a chiedere e portar consiglio, a reclamar bandiere, coccarde, manifesti. Non v'era un momento di requie, e sempre quella nostra stanza al primo piano era piena di gente. Quante bandiere furono distribuite in quei giorni? Tutte quelle che avevamo e quelle che erano state prese a Udine, a Venezia, a Milano, ovunque se ne potessero trovare quantitativi a disposizione. Metri e metri di stoffa arrivavano all'Agi: e le ragazze a tagliare e cucire bandiere di tutte le dimensioni, striscioni, festoni. Centinaia di metri di nastro tricolore venivano trasformati in coccarde; e dopo poche ore ne eravamo di nuovo senza. La gente a reclamare e ritenere quasi offesa personale il fatto che per il momento non ne avevamo più. Poi la stoffa non bastò e si fecero le bandiere di carta. E neppure quelle bastarono».

Quando nel pomeriggio del 25 marzo dalla sede dell'Agi partì l'invito «Imbandierate», fu come l'esplosione primaverile di un fiore bianco, rosso e verde. E il 26 marzo i goriziani scesero in piazza. Il quotidiano del pomeriggio La Voce Libera così descrive l'avvenimento: «Era una manifestazione di popolo, nata spontaneamente dall'anima del popolo. Una marea di cittadini tra uno sventolio di bandiere. La massa dei dimostranti era composta da tutte le classi sociali, unite fraternamente nella comune fede e nel comune entusiasmo: accanto agli operai i professionisti, accanto agli impiegati, studenti donne e uomini, giovani e vecchi in un corteo senza fine. Nessuno mancava. E dalle finestre gli altri applaudivano e la gente che era ai lati della strada faceva spalliera e acclamava. Il corso era un tripudio di grida e di canti. Gli altoparlanti diffondevano le note dell'inno di Mameli e dell'inno del Piave. La manifestazione raggiungeva il suo apice: l'entusiasmo era al colmo. Al grido di viva Gorizia italiana, al nome di Italia scandito dalla moltitudine, si alternavano i canti della Patria. Giustizia, giustizia veniva gridato a lungo sotto le finestre dove la commissione lavorava. Restituiteci i nostri deportati».

E il giorno dopo il 27 marzo, la fiaccolata. Chi vi partecipò ne conserva ancor oggi un ricordo indimenticabile ed irreperibile. Possiamo solo aggiungere che quelle notte la popolazione invase le strade. Rimasero a casa solo gli inabili e gli ammalati, ma anche questi, dalle finestre, agitavano

le loro bandiere e sostenevano i dimostranti. Pensiamo di non cadere nella retorica dicendo che mai, mai nella sua storia Gorizia visse giornate così grandi e commoventi di amore e attaccamento alla Madre Patria. Nei mesi che seguirono, a poco a poco, la componente italiana riconquistò cittadinanza piena e indiscussa su tutto il territorio comunale. Il 10 febbraio 1947 venne firmato il trattato di pace. L'Istria era perduta, il destino di Trieste ancora in forse, Gorizia era salva. Si arriva così alle giornate

della nostra seconda redenzione. 14 settembre 1947. Sessant'anni or sono.

Gorizia apparve allora tutta pavesata di tricolori. La popolazione si riversò per le strade quando la notizia si diffuse per la città, «Arrivano!»  La colonna del 114° comandata dal colonnello Antonio Gualano entrò in città alle 13.10 da via Aquileia. E fu un trionfo. Gli autocarri furono sommersi

dai cittadini felici e commossi che salivano su tutti i mezzi, che volevano stringere le mani di tutti i nostri soldati. Scrive Carlo Alberto Pedroni: «Ci ritrovammo tutti là, con le lacrime agli occhi e la gola riarsa dall'acclamare, arrampicati sugli automezzi di quelle truppe che ci portavano la Patria che avevamo riconquistato. Gorizia non dormì quelle notti: e fu un crescendo d'entusiasmo che tutti pervase, fu una sagra cittadina di sì meravigliose proporzioni che non se ne conobbe l'eguale».

16 settembre: calano dal palazzo della prefettura le bandiere inglese e americana: sul pennone sale la nostra bandiera. Piazza della Vittoria è colma di cittadini. La folla acclama lungamente, un grido di innumerevoli voci saluta il nostro vessillo. Italia, Italia, ancora nuovamente nostra. E infine il momento più toccante per chi l'ha vissuto di quella giornata.

Quale testimone non potrò dimenticarlo mai. Lo ripropongo con le parole di Pedroni: «E tutti assieme, cantando le vecchie canzoni, salimmo il Colle del Castello per la cerimonia conclusiva. Chi non entrò nello stretto cortile antistante il Mastio, o sulle mura, rimase nella piazza. Formicolava di folla. Gli squilli delle trombe. Il tiro dei mortaretti. Più d'un occhio si vela di pianto nel silenzio che si fa all'improvviso profondo, prima di esplodere in un grido incontenibile accompagnato dal "canto" delle campane delle chiese di Gorizia un canto che raggiunge la piazza, che vibra in ogni

via della città che va oltre la città sui colli vicini e lontani. Dopo due anni d'attesa, e di passione, di sacrifici e di lotte, quel grido è il nostro trionfo; e gridiamo e piangiamo dalla gioia. Sono le 12.55: sul

Castello di Gorizia sale lentamente il Tricolore d'Italia».Sono passati sessant'anni. Oggi siamo rimasti in pochi testimoni di quella stagione, e mi rendo ben conto quanto sia difficile in una società così arida e diversa, priva o quasi di valori, passioni, sentimenti far capire a chi ci vive accanto, l'ardore, l'amore per la Patria che provammo, in quella giornata, in quel momento. Un compito difficile ci attende: far conoscere e far amare questa storia. La nostra storia.

 

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