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Matvejevic: i Popoli sono più avanti (Il Piccolo 12 lug)

Io conosco molto bene il presidente Napolitano e il presidente croato Ivo Josipovic, che definirei uno dei rari casi positivi che siano capitati in Croazia negli ultimi dieci anni. Sono lieto che una persona simile, che ha avuto il coraggio di dire che i suoi genitori erano partigiani e di essere, in un Paese a maggioranza cattolica, un agnostico sia presente alla cerimonia di domani a Trieste, con l’omaggio all’ex Balkan e al monumento all’Esodo. Dunque è giusto che si faccia questo atto, ma non si deve trasformarlo in una sorta di rito. Io vedo le reazioni da una parte e dall’altra. Credo che da parte slovena insistere dopo quasi cento anni sul Narodni Dom, che era un cricolo culturale, a fronte di altri avvenimenti ben più gravi, non sia molto giusto e soprattutto non la vedo come una celebrazione da ripetere ogni anno. La stessa cosa vale per la Foiba di Basovizza. Queste cose devono essere fatte diversamente perché subito riemerge un passato che reputo un passato remoto, un passato che ormai appartiene alla storia. Io ho parlato delle foibe quando c’era ancora la Jugoslavia, ho parlato della lingua particolare dei nostri istriani in cui c’è una parola che non esiste nella lingua italiana che è quella di ”esodati”. Parlare di queste cose valeva la pena vent’anni, trent’anni fa. Adesso mi sembra non necessario.

La stessa cosa vale per la parte croato-slovena. Le camicie nere hanno fatto stragi sull’Adriatico, in Dalmazia e non dimentichiamo che Ante Pavelic è stato un criminale odioso, francamente molto più odioso di Mussolini e che era pagato da Mussolini e i cui ustascia erano addestrati, cosa poco conosciuta, proprio in Italia. Dunque, quando si parla di tutto questo è meglio che lo trattino gli specialisti, gli storici. Ritengo molto importante il libro, o meglio le conclusioni trasformate in libro, che contengono le conclusioni degli esperti, politici e storici italiani, sloveni e croati in materia e che non è mai stato pubblicato in Italia, mentre lo è stato in Slovenia.

Perché ogni volta cominciare con queste cerimonie? Bene, questa volta lo faranno i tre presidenti, ma direi che questi rituali è meglio lasciarli perdere. Per esempio noi dovremmo, quando si parla della cultura croata, considerare che cosa dobbiamo alla cultura italiana. Non c’è una chiesa su tutta la sponda della Dalmazia sul cui altare non ci sia l’opera o l’influsso di un pittore italiano.

Noi dobbiamo molto all’Italia, ma anche l’Italia deve riconoscere ai popoli slavi qualcosa di cui non è cosciente: il blocco slavo di fronte all’impero turco ha fermato i turchi. C’era un piano turco chiamato ”Mela rossa” che voleva dire prendere Roma. Per capire la funzione slava come antemurale cristianitatis bisogna rileggere i libri di Ivo Andric. Gli slavi per quattro-cinque secoli hanno difeso l’Europa con sacrifici enormi e l’impero turco non è riuscito a conquistare nessuna città italiana, se non una breve incursione a Otranto. Ma non è riuscita nel suo progetto ”Mela rossa”.

Dunque ci sono queste pagine in cui abbiamo dato tanto gli uni agli altri, eppure c’è negli sloveni e nei croati ancora la paura dell’irredentismo. Ma chi sono gli irredentisti? Qualche personaggio folle e qualche vecchio che ha perduto tutto e con cui parlo lo stesso con molto piacere, per dire che li capisco perché loro hanno sofferto, ma pensare che ci sia una tendenza così contraria oggi è folle. L’Italia appoggia l’entrata della Croazia nell’Ue così come ha appoggiato l’ingresso della Slovenia. I rapporti sono ottimi fra la Slovenia e l’Italia e lo sono anche tra l’Italia e la Croazia. Invece di lavorare su questo ci si concentra su questa sorta di doppie storie che non servono a niente.

Confermo altresì che il tempo della riconciliazione sia giunto e sia giusto fare questo gesto, ma che non deve diventare un gesto annuale. Basta una commemorazione.

Predrag Matvejevic (testo raccolto da Mauro Manzin)

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