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Manlio Malabotta, istriano e patriota (Il Piccolo 04 lug)

Il contributo che Diana De Rosa ha firmato all’interno del volume da noi curato Gli italiani dell’Adriatico orientale (Libreria Editrice Goriziana, 2012) ha riportato alla nostra attenzione la figura di Manlio Malabotta, mettendone a fuoco un aspetto inedito, quello di antifascista. Malabotta, nato a Trieste nel 1907 da padre lussignano di origine chersina e da madre montenegrina delle Bocche di Cattaro, è una figura che vale la pena ricordare.

 

Notaio a partire dagli anni Trenta del Novecento prima a Comeno e a Montona d’Istria e, dopo la seconda guerra mondiale, a Volpago del Montello, in Veneto, Malabotta è stato anche sofisticato collezionista d’arte dalle scelte mai banali (accanto allo straordinario nucleo di tele e disegni di Filippo de Pisis, ora alle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, vanno segnalate almeno le opere dei giuliani Nathan, Bolaffio, Carmelich); poeta dialettale; sagace critico d’arte sulle colonne del “Popolo di Trieste” e su testate di circolazione nazionale quali “Casabella” e “Belvedere”; prosatore e fotografo sulle riviste strapaesane “Il Selvaggio” e “L’Italiano”.

 

Nonostante il respiro europeo del suo pensiero, sintonizzato sulle proposte che arrivavano dai centri motori di avanguardia come Parigi in anni, quelli del regime, di forte autarchia culturale e in cui aperture a proposte culturali internazionali non erano affatto scontate, Malabotta non dimenticò Trieste, dove volle tornare e comprò casa. E a Trieste morì nel 1975. Nella sua casa, sul colle di San Vito, i libri sulla storia e la cultura della Venezia Giulia e della Dalmazia ancora arricchiscono una biblioteca dal notevole interesse culturale.

 

In Istria ebbe luogo l’attività di antifascista di Malabotta: già espulso dal PNF nel 1939 per il suo “tiepido spirito fascista, per incomprensione politica e per attività passiva” quando ricopriva il ruolo di sindaco di Montona, la sua scelta di campo si fa esplicita a partire dal 1943 e fino al 1945, anno in cui partecipa nelle file della Brigata Foschiatti alla lotta per la liberazione di Trieste. La figura di Malabotta, insomma, impreziosisce la tradizione culturale e civile degli italiani della Venezia Giulia, di Fiume e della Dalmazia: un tessuto diffuso, un humus giuliano fatto di una italianità democratica che ha saputo fare sentire la propria voce in mezzo alle violenze della guerra, dei totalitarismi, degli scontri tra nazionalismi; un’italianità aperta ed europea, nata e cresciuta in una regione come questa plurale sotto il profilo nazionale.

 

Giuliani per i quali l’antifascismo è stato prima di tutto una scelta d’autonomia morale, come per Malabotta. Su di lui, a molti anni dalla bella mostra allestita al Museo Revoltella nel 1996 (Viaggio nel ’900. Le collezioni di Manlio Malabotta) e dopo alcuni studi monografici che ne hanno messo a fuoco singoli aspetti, varrebbe la pena operare una riflessione complessiva. Varrebbe la pena valorizzare il profilo di un intellettuale il cui gusto, le cui scelte culturali e civili sono patrimonio della nazione.

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