Maggio 1945, i Quaranta giorni del terrore titino

Era il primo di maggio 1945.

I Triestini, disperati, avevano capito che era successo quello che non avrebbero mai immaginato e voluto, sicuri com’erano che stavano arrivando da Ovest i neozelandesi.

Che, però, erano stati fermati da una proposta di incontro fatta dai titini per accordarsi sull’arrivo a Trieste.

I titini non si erano presentati …

La corsa per Trieste era stata vinta da loro.

Per prima cosa avevano occupato il bellissimo Palazzo della Prefettura in Piazza Unità, avevano esposto la bandiera bianca rossa e blu con la stella rossa in mezzo, mettendo ai lati quella inglese e americana.

Un po’ più tardi il tricolore italiano con la stella rossa: era la bandiera della nuova Regione della Federativa jugoslava.

Secondo atto intimidatorio: i tricolori italiani esposti alle finestre venivano mitragliati.Ma

Ma l’orrore più grande erano le sparizioni, avvenute immediatamente, dalla notte tra il 1. Maggio e il 2.

Ma nessuno aveva ancora raccontato, ancora si sperava nel ritorno del marito, del padre, della sorella, del figlio…

Il 3 maggio sull’altipiano triestino arriva “ la truppa titina “, al gran completo.

Davanti soldati con divise regolari e armati.

Come la lunga colonna si snoda i soldati sono sempre peggio equipaggiati, le divise arrangiate, prese ai soldati italiani e tedeschi, ma anche disarmati… più indietro carrozzoni trainati da muli, guidati da civili che di civile hanno ben poco.

I carri attorniati da uomini a piedi che suonano il violìno, donne, tante donne, armate di pugnali e coltelli “le drugarizze”.

Gli americani sui loro camion si fermano per lasciar passare quell’improbabile esercito, li guardano ridendo e sghignazzando.

Ma i loro capi stanno brindando in Municipio con i titini “alla liberazione di Trieste”.

Quella “liberazione” che ha gettato nel lutto migliaia di famiglie triestina.

Il maggior numero di sparizioni avviene nei primi dieci giorni di quella “ liberazione”, ma la gente continuerà a sparire, senza che inglesi e americani, che tutto sanno, intervengano per far cessare l’orrore; eppure la BBC a Londra racconta quello che sta succedendo, da Radio Bari si denuncia, ma invano.

Gli jugoslavi godono dell’appoggio dell’Unione Sovietica di Stalin e la guerra non è ancora finita.

Lasceranno fare anche il 5 maggio in Piazza Goldoni dove i titini uccideranno 5 triestini e ne feriranno decine, inermi alla testa di un corteo lungo fino a Piazza della Borsa al grido di “Italia! Italia!”.

In Istria, a Fiume, a Pola, nella mia piccolissima Orsera arrivano analogamente i titini. All’immenso dolore si unisce l’immenso stupore: i liberatori sono scalzi, non indossano divise, hanno i pantaloni pieni di buchi “col dedrio fora”, ma la bustina che portano in testa ha la stella rossa e cantano… cantano… e gli orsaresi e gli Istriani e i fiumani e i polesani piangono; increduli, non possono neppur pensare che quella gente rappresentiIl vincitore.

Eppure è così.

Gli americani sghignazzavano all’apparire di quel misero esercito, noi oltre che disperati eravamo increduli e umiliati.

Per noi, quell’occupazione è stata irreversibile e definitiva, i triestini si sono salvati, ma non illudiamoci: solo perché il porto di Trieste doveva essere libero dai titini per rifornire le truppe americane in Austria.

Anna Maria Crasti
Vicepresidente del Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia

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