Strano il destino dei fratelli Rusjan, Edi, Pepi e Gigia, pionieri del volo, esemplari cittadini della Gorizia di cent’anni fa. Con padre sloveno e mamma friulana di Medea, a casa parlavano in dialetto goriziano (definivano il loro aereo la ”tràpola de carta”) e corrispondevano con i loro colleghi ”aeronauti” in francese, che poi era anche la lingua dei primi voli europei e della loro carta intestata. Nel nostro tragico Novecento tanta multiculturalità sembra però aver piuttosto diviso che unito.
Gorizia li ha dimenticati per decenni, favorendo l’appropriazione della memoria a favore di una nazione, la Jugoslavia, e di una città, Nova Gorica, che al tempo non esistevano.
E quando il Comune di Nova Gorica, non più jugoslavo ma sloveno, un paio d’anni fa si è messo in testa di festeggiare il centenario del primo volo dei fratelli Rusjan, ha progettato un vasto programma. Dalle istituzioni di Lubiana non ha trovato risposta. «Così abbiamo deciso di far da soli», ha detto Mirko Brulc, sindaco di Nova Gorica, l’altro giorno nel corso di una conferenza stampa.
E ha aggiunto: «Abbiamo allora invitato alla collaborazione le istituzioni italiane, Comune e Provincia di Gorizia, che hanno immediatamente aderito. Le istituzioni slovene – ha aggiunto – quale l’Unione aeronautica slovena, non hanno fornito risposta, mentre alcuni quotidiani, come il Dnevnik, pur di sinistra ma d’orientamento clericale, hanno polemizzato con l’iniziativa: quello dei Rusjan è uno spazio europeo, ben più ampio di quello del territorio italiano e sloveno», ha concluso Brulc l’altra mattina.
Ma perché queste polemiche? I Rusjan nella nascente Jugoslavia erano divenuti simboli del panslavismo: nascita a Gorizia, lavoro a Zagabria, morte a Belgrado. Nella Slovenia di oggi i Rusjan riportano profumo (o puzza) di Balcani e di Serbia, ed è già tanto se la Slovenia, da ieri, ha dedicato loro un francobollo. Unico ultimo omaggio al centenario del loro primo volo.
Sandro Scandolara
