I difficili equilibri del mondo dopo la Guerra Fredda

Il mondo disegnato nel 1945, alla conclusione del secondo conflitto mondiale, a Jalta, in Crimea, dai leader delle tre potenze alleate – Churchill per la Gran Bretagna, Roosvelt per gli Stati Uniti e Stalin per l’Unione Sovietica – era paradossalmente facile da comprendere: in base al principio delle sfere d’influenza si era proceduto a dividere la Germania e, successivamente, a colorare in due l’Europa e, più in generale, il Mondo. Da una parte i Paesi legati alla Nato e al blocco occidentale, dall’altro il Patto di Varsavia che raggruppava i Paesi a socialismo reale. 

Anche se l’Italia era caratterizzata da una situazione alquanto particolare e delicata – allineata ai Paesi Alleati, ma con il Partito Comunista più forte d’Europa –, la suddivisione del Mondo appariva lineare, dove era tendenzialmente semplice scegliere da che parte stare: «prendere sul serio il comunismo come un’ideologia espansionistica e pericolosa ha permesso agli Stati Uniti e ai loro alleati di comprendere i pericoli come la possibile invasione sovietica dell’Europa occidentale e di scoraggiarli». 

Oggi, di contro, stiamo assistendo ad uno scenario particolarmente eterogeneo e poliedrico, in cui le complessità ideologiche si mescolano ad odi atavici, letture complottistiche e scenari paraocculti. 

Come è stato scritto chiaramente, il punto di partenza deve necessariamente essere il dato di fatto per cui abbiamo un Paese aggressore che, armi in pugno, ha attaccato un Paese sovrano, ferendo mortalmente inermi e civili. Ma dietro questo, constatiamo come vi sia uno schizofrenico fermento ideologico dove le ragioni e le posizioni tendono a confondersi e a trovare le più disparate basi giustificazioniste. 

Sia a destra che a sinistra abbiamo chiavi interpretative tendenti a sostenere l’atteggiamento di Putin, alimentando sentimenti anti-occidentali – Putin salverà i popoli europei dalla corruzione dei costumi della modernità – o anti-Nato, dipinta come un inutile carrozzone che ha perso il suo scopo con la caduta del Muro di Berlino. A questo quadro spesso si associa una posizione anti-statunitense, evocando maldestramente tutte le guerre combattute nel secondo cinquantennio del Novecento nei posti più reconditi del Mondo. 

Un altro filone si costruisce attorno ad un pacifismo estremo, dove non trova spazio l’eventualità della guerra, la cui colpa si deve suddividere tra chi la compie e chi non ha fatto nulla per evitarla. Come non sottovalutare, infine, una lettura che viene dall’Oriente e che trova nella Cina il grande e celato manovratore, le cui mire espansionistiche sono chiare a tutti da molti anni. 

Sentimenti diffusi, chiacchiericci che serpeggiano – più o meno velatamente – nell’opinione pubblica e nei talk show televisivi e che rendono ancora più articolata la situazione, in quanto non si trova un coeso sostegno interno. Accanto all’immane disastro della guerra vi è una società sempre più liquida che fatica a trovare la propria strada. 

Se le ragioni russe dovevano essere valutate e la diplomazia occidentale ha le sue responsabilità nel non aver ben compreso le reali intenzioni russe, è chiaro che, a guerra iniziata, ora è in ballo la difesa del nostro mondo, della democrazia, dello stato di diritto e delle libertà economiche che, con le inevitabili e indiscutibili storture, rappresentano il modello di società che ha permesso all’uomo di migliorarsi, di aumentare la propria qualità di vita e di ampliare la categoria dei propri valori. 

 

 

Davide Rossi
Fonte: L’Arena di Verona – 11/03/2022

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