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Libero – 211207 – Via al confine più doloroso d’Italia

di FRANCESCO PERFETTI

 

Trieste non ha più il confine. Da mezzanotte sono saltate le frontiere tra la Repubblica di Slovenia e l'Italia, l'Austria e l'Ungheria. Il Paese infatti, dopo l'adesione ufficiale alla Nato e l'ingresso nell'Unio ne europea nel 2004, è entrata anche nel cosiddetto spazio Schengen. Inoltre, il 1° gennaio 2007, unica fra i nuovi membri dell'UE, la Slovenia ha adottato l'euro. E non basta: a questo Paese toccherà, a partire dall'inizio del prossimo anno, guidare l'Ue per un semestre. Fra i paesi sorti dal tracollo delle democrazie popolari e, nel caso specifico, dal disfacimento della Jugoslavia di Josif Tito, la Slovenia è quella che, dal punto di vista dello sviluppo economico, ha raggiunto risultati apprezzabili: un piccolo "miracolo" sia per quanto riguarda la crescita dell'economia sia per quel che concerne la diminuzione del debito pubblico. Gli osservatori internazionali, e anche i commentatori italiani, guardano con ottimismo al futuro di questo Paese. C'è, insomma, una sorta di scommessa in atto su questo Paese, che, è doveroso riconoscerlo, divenuto indipendente nel 1991, è riuscito a passare quasi indenne tra gli sconvolgimenti provocati dalle periodiche esplosioni della polveriera balcanica. Un passato sanguinoso

Tuttavia, per quanto riguarda l'Ita lia, qualche nube oscura ancora il futuro dei rapporti fra i cittadini dei due paesi: e ciò non tanto per il fatto che all'interno della Slovenia viva una minoranza di nazionalità o madrelingua italiana composta ormai da poche migliaia di persone, quanto piuttosto per il ricordo e il peso dei tragici avvenimenti che accompagnarono l'ul timo scorcio del secondo conflitto mondiale. Ed è bene che le nubi non vengano sottovalutate. Non è bene dimenticare la storia o, se si preferisce, la memoria. Soprattutto quando storia e memoria grondano di sangue. Successivamente all'8 settembre 1943 i territori sloveni, spartiti fra le potenze dell'Asse dopo la capitolazione del regno di Jugoslavia il 17 aprile 1941, furono occupati dai partigiani di Tito, capo riconosciuto della resistenza jugoslava. E furono imbevuti di sangue, anche del sangue di migliaia di italiani gettati vivi nelle foibe carsiche. Molti di questi erano indifferenti alla politica e colpevoli soltanto del fatto di essere italiani. Finirono triturati dal macchinario di una "pulizia etnica", che sarebbe continuata anche dopo la liberazione nei territori occupati dagli jugoslavi e che era parte, probabilmente, di una strategia volta a ottenere il controllo dell'area con tutti i mezzi possibili. Le formazioni partigiane garibaldine della Venezia Giulia, prevalentemente composte di comunisti, passarono alle dirette dipendenze del IX Corpus jugoslavo, dopo che una direttiva in tal senso era stata impartita alle federazioni comuniste da un emissario di Mosca paracadutato in Jugoslavia. L'ordine venne eseguito con il passaggio della divisione Garibaldi-Natisone sotto il diretto comando jugoslavo. Seguirono episodi di violenza ed esecuzioni persino di membri di formazioni partigiane non comuniste o rivali, che dir si voglia. Il caso più noto fu quello dell'eccidio a Porzus di una ventina di partigiani della formazione autonoma Osoppo, cattolici e liberali, che non avevano voluto mettersi alle dipendenze dei partigiani sloveni e intendevano invece combattere, da soli e in piena autonomia, per la italianità del territorio. Su tutte queste drammatiche vicende, per molto tempo, è calato un colpevole silenzio, che, soltanto da poco, la ricerca storica ha cominciato, pur fra tante difficoltà, cercato di interrompere. La doppiezza di Togliatti

 

L'ambiguità e la doppiezza di Togliatti e dei comunisti italiani in quei frangenti, per quanto riguarda il futuro dei territori, in particolare di Trieste e Gorizia, raggiunsero punte estreme ed esemplari. Le ripetute e aperte dichiarazioni di Togliatti in favore della italianità di Trieste avevano come risvolto sotterraneo una azione politica mirante a consegnare la città nelle mani di Tito per allargare il campo socialista. E se ciò non si avvenne fu soltanto perché la rottura fra l'Unione Sovietica e Tito avrebbe reso secondario per la leadership sovietica il controllo di quei territori. Ma tutto ciò non evitò la drammatica tragedia dell'esodo, che è ancora presente nella memoria di tanti italiani costretti ad abbandonare ogni cosa. Molta acqua è passata sotto i ponti da allora. Numerosi problemi legati alle tragiche vicende di un passato remoto (ma non troppo) sono stati se non risolti quanto meno presi in considerazione. Ed è una premessa necessaria per il superamento auspicabile di un passato che sembra non voler passare a causa, soprattutto, della "cattiva coscienza" e delle scorie ideologiche. La Slovenia aspira da tempo a ritagliarsi il ruolo di una piccola "Svizzera slava". E a porsi come elemento o fattore di stabilizzazione della crisi, più o meno latente, dell'intera area balcanica. È un'altra scommessa, un'altra grande scommessa, non tanto e non solo per l'attuale governo della piccola Repubblica, quanto piuttosto per l'Europa intera. E, in particolare per l'Italia.

 

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