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L’esodo, una ferita che non si rimarginerà più (romagnaoggi.it 09 feb)

"I miei genitori sono persone tenaci e fuori dell'ordinario, ma quella ferita non si rimarginerà mai più". Carlo Bressanello, ex cancelliere del tribunale di Forlì, addita i genitori Arpad e Maria, 181 anni in due, come clamorosi esempi di longevità e lucidità. Soprattutto Arpad, classe 1915: quando nacque a Fiume, alle soglie del Natale, c'era ancora l'impero austro-ungarico. Bressanello dovette lasciare la "Perla del Quarnaro", oggi chiamata Rjieka, per non sottostare al dittatore comunista Josip Broz detto Tito, che l'aveva occupata il 2 maggio 1945 al termine della sciagurata guerra persa dall'Italia fascista.

Il trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, che tolse al "Bel Paese" 9.953 chilometri quadrati di territorio, fra cui gran parte della Venezia Giulia, tutta l'Istria, l'enclave di Zara, le isole di Cherso e Lussino e, appunto, Fiume, fu solo l'apice formale di una tragedia che dal 1943 al ‘57, vide la fuga irreversibile dalle proprie case di circa 350 mila persone. La pulizia etnica tanto di moda nell'ex Jugoslavia durante l'ultimo conflitto sui Balcani, fu sperimentata per la prima volta con successo proprio sui civili italiani, ritenuti tutti fascisti. Pezzo forte dei comunisti guidati da Tito il "liberatore" fu l'infoibamento: si calcola che nelle cavità carsiche dell'Istria, profonde anche alcune centinaia di metri, siano stati gettati, spesso ancora vivi, dai 5 ai 15 mila italiani. Dal 1946 Forlì è diventata la nuova "patria" per almeno 50 esuli istriani e giuliano-dalmati, circa 400 persone in tutta la provincia. Fra loro anche il "nostro" Bressanello Arpad, per 25 anni funzionario prefettizio a Forlì e per oltre 40 presidente onorario della sezione locale dell'"Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia".

Di quei giorni di fuga, nell'agosto 1946, con la moglie incinta e il figlioletto di 5 mesi assieme ad altri 75 mila italiani, la maggior parte dei quali residenti a Fiume da sempre, il profugo conserva solo dolore. "Dopo l'8 settembre 1943 – racconta – nello sbando totale del mio reparto militare di stanza in Calabria, camminai per 44 giorni lungo ferrovie e strade invase dall'occupante tedesco, fino a raggiungere la mia città, dall'altra parte dell'Adriatico. Nell'atto di riabbracciare i miei cari, pensai di essere alla fine dell'odissea. E Invece…".

L'arrivo a Forlì non fu dei migliori: "Alla stazione ferroviaria fummo accolti con l'insulto di "fascisti" dai militanti comunisti, indottrinati a dovere e increduli che i primi italiani a beneficiare del paradiso marxista fossero fuggiti così in fretta". Bressanello ha poi trovato un ambiente eccezionale, degno della miglior ospitalità romagnola. Nel 1968, dopo vent'anni di lontananza, è potuto ritornare a Fiume, da turista: "Una città irriconoscibile, deturpata dal cemento di regime". Alla moglie Maria Francesca Frank, anch'ella perfettamente integrata in Romagna, non è ancora andata giù quella volta che, all'atto di partire per l'Italia, i burocrati "tutini" gli negarono il latte in polvere per il figlioletto Carlo: "Te lo daranno i fascisti quando sarai di là". L'esodo è uno strappo emozionale che non si ricucirà mai più. Bressanello Arpad recherà la sua testimonianza di esule venerdì 12 febbraio alle 15, in sala Randi, nel corso della pubblica conferenza promossa dal Comune di Forlì in occasione del "Giorno del Ricordo", istituito dal 2004 in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata.

Piero Ghetti

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