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L’eredità politica dannunziana (Voce del Popolo 17 set)

PESCARA – "Tutti i cittadini dello Stato d’ambedue i sessi sono e si sentono eguali davanti alla nuova legge". È l'articolo VI della Carta del Carnaro, la Costituzione fiumana, dettata da Alceste De Ambris e curata nella forma da Gabriele d'Annunzio (fu promulgata l'8 settembre 192), un documento che, riletto attentamente oggi, al di là dei possibili pregiudizi, rivela caratteri e visioni straordinariamente moderni, perfino anticipatori delle attuali Costituzioni democratiche, che avevano come cardini fondamentali i concetti di libertà e uguaglianza. La Costituzione fiumana, infatti, istituiva il diritto alle libertà di stampa, di pensiero, di associazione, di riunione e religione, alla parità tra i sessi e al diritto di divorzio. "Desideravo rivisitare l’eredità politica dannunziana, che per decenni è stata considerata autoritaria e che invece considero libertaria", spiega Maurizio Biondi, curatore scientifico della mostra “Le gesta di Fiume. Gabriele d’Annunzio, il Vate, l’Eroe, il Comandante”. Allestita nella città natale di D'Annunzio, a Pescara (presso l’atelier Verna Oro in via Chieti), in occasione del 90.esimo anniversario dell'Impresa fiumana – un'epopea che che rappresentò l’emblema del successo di d'Annunzio –, sarà visitabile fino al 7 novembre sarà visitabile.

Circa cento elementi tra quotidiani, riviste, lettere, cartoline, fotografie, cartine, gigantografie, medaglie e persino francobolli, rigorosamente d’epoca, provenienti dall’archivio privato di Maurizio Biondi fanno da cornice alla cronistoria degli anni 1919 – 1920, con l’intento di restituirne l’atmosfera e la giusta collocazione temporale. E parlando del "poeta-soldato" Biondi cita proprio la Carta del Carnaro: "Si creò una sorta di zona franca in cui erano permessi l’amore libero, il nudismo e l’uso di droghe – rileva il curatore della mostra –. Per 16 mesi Gabriele d’Annunzio governò un popolo con il solo potere della parola, tenendo comizi ogni giorno: in questo e in altri aspetti fu emulato poi da Benito Mussolini, ma questo non lo accosta necessariamente al fascismo. Anzi, scontò questo atto rivoluzionario con 17 anni di silenzio politico, proprio per volontà del Duce".

Era il 12 settembre 1919, quando a capo di oltre 600 soldati disertori (la maggioranza dei quali era stata mandata per fermarlo lungo il tragitto) d'Annunzio occupò il capoluogo quarnerino. Con una parabola probabilmente unica nella storia, nell’impresa di Fiume un artista riusciva a legare alla figura del poeta quella dell’eroe, facendosi interprete del crescente sentimento nazionalista e rivendicando quindi l’appartenenza all’Italia di Fiume.

Punte di diamante della mostra sono la medaglia di Ronchi con il motto “Hic manebimus optime” commissionata ad Adolfo De Carolis e destinata ai partecipanti all’impresa; un berretto, un pugnale e un album di fotografie d’epoca gentilmente concessi da Sergio Guerri, erede di Bruno Guerri, uno dei “soldati arditi” del Comandante; e una foto-cartolina più unica che rara, autografata da Arturo Toscanini e da Gabriele d’Annunzio il 31 novembre 1920 dopo uno degli ultimi concerti al teatro “Verdi” di Fiume (d’Annunzio sarà costretto a lasciare la città nel gennaio del ‘21). Fa da sottofondo alla mostra una selezione di brani eseguiti dal Maestro Arturo Toscanini proprio in occasione di quel concerto.

 

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