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Le Elegie istriane di Biagio Marin in scena a Treviso

 

Domenica 16 ottobre il Comitato provinciale di Treviso dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, con il patrocinio della Città di Treviso, ha messo in scena all’Auditorium Stefanini le “Elegie Istriane” di Biagio Marin, un progetto a cura di Grado Teatro.
Tullio Svettini e Giorgio Marin hanno eseguito le letture accompagnati dall’arpa classica di Ester Pavlic e dalle proiezioni di Vinicio Patruno.
Nato a Grado nel 1891, il 29 giugno come Leopardi, Biagio Marin è stato uno dei grandi poeti del Novecento, oggi conosciuto perlopiù a un pubblico selezionato e ristretto, inscritto nella tradizione dei poeti che hanno rivisitato il dialetto come lingua del mito e della purezza, tra tutti e tra i maggiori il Pasolini de La meglio gioventù, il più celebrato Andrea Zanzotto, e altri di grande valore nell’area compresa tra Veneto e Friuli: Giacomo Noventa, Virgilio Giotti e Romano Pascutto. Si tratta di una tendenza della poesia del Novecento che rinnova e nobilita il dialetto, lo rende lingua poetica autentica, luogo dell’incontaminato, talvolta è perfino lingua ricreata, addirittura inventata, nel senso etimologico, lingua invenita, trovata dove esiste, in una terra pura, nelle comunità arcaiche e preservate.
Marin scrive nel dialetto gradese, che per la prima volta sale alla dignità della poesia alta, un dialetto veneto rimasto arretrato nel suo sviluppo, il rudere di un dialetto quasi medievale, come ebbe a scrivere lo stesso poeta (Il mio linguaggio). Ma tutto egli è, tranne che un poeta ingenuo e provinciale; la sua formazione letteraria si compie nell’ambito della grande cultura mitteleuropea in cui erano maturati Umberto Saba e Scipio Slataper, Giani Stuparich e Carlo Michelstaedter. Il suo apprendistato letterario inizia all’insegna della grande lirica tedesca dell’Ottocento, quindi in quella italiana da Dante a Leopardi, da Carducci a Pascoli. Gli anni degli studi lo vedono a Gorizia, alle Scuole reali superiori di Pisino e infine all’università di Vienna e all’Istituto di Studi Superiori di Firenze, quella de “La Voce” e di “Lacerba”, animata da Prezzolini e Papini, dove il poeta gradese ha modo di frequentare i grandi poeti vociani. La laurea con Gentile a Roma corona gli anni della formazione.
Su Marin si accanisce la vita negli anni delle guerre. Volontario nel 1917 si ammala gravemente ai polmoni, la Seconda guerra gli porta via il figlio Falco nel 1943, milita nella Resistenza e nel dopoguerra si impegna in prima persona per sostenere l’italianità di Trieste.
Quando la morte lo coglie la vigilia di Natale del 1985, quasi centenario, Marin è ormai celebrato come uno dei maggiori poeti italiani, nel 1981 era stato anche indicato per il conferimento del premio Nobel, la sua bibliografia è vastissima, e in essa si nascondono, come un fiore segreto e meraviglioso, le Elegie istriane (Milano, 1963), oggi fuori catalogo, come gran parte dei tesori della nostra letteratura.
Si tratta di una silloge di poesie in cui Marin spinge il cuore e il ricordo per le terre istriane della costa e dell’interno, fino a Pisino dove aveva studiato da ragazzo. Lo accompagnano in questo viaggio, l’amore per l’Istria e la sofferenza per il destino amaro di quelle terre separate dall’Italia, destinate a un’altra storia. Nel 1963 si è ormai consumato il lungo esodo che aveva forzatamente allontanato dalle terre dei padri i giuliano-dalmati, Tito aveva avuto ragione sulla diplomazia internazionale, i paesi perdevano uno a uno il loro nome veneziano e gentile: Capodistria, Isola, Pisino, Pola, Parenzo, Rovigno, tanto che oggi pochi ne conoscono la storia e l’origine, gli italiani vanno in vacanza in Croazia ignari che laggiù anche le pietre parlano italiano.
Se dunque vi è una ragione per rileggere e sentir recitare le Elegie istriane, riproposte oggi dagli attori della Associazione Grado Teatro, è proprio nel debito di memoria che tutti abbiamo nei confronti di quel popolo che nel nome della patria italiana si è fatto carico della pena della diaspora e del sacrificio della vita, veri martiri della patria. Si tratta oggi di rivedere l’Istria con gli occhi puri di un poeta, puri come gli occhi dei bambini di un tempo che oggi, ormai invecchiati, ripensano la loro amata terra, le case, i giochi, il mare, e inconsolabili chiedono solo di ricordare che tutto questo è stato.

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