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La Voce in più – 03.05.08 – Buccari, torna l’antico Corpo delle guardie civiche

di Roberto Palisca

È di pochi giorni fa la notizia che Buccari ripristinerà l'antico Corpo delle guardie civiche. Ovviamente non avrà più la funzione che aveva nel lontano passato, tra il 1671 e il 1778, quando questa ancor sempre suggestiva cittadina che si affaccia su una delle più belle baie dell'Adriatico (quella diventata famosa nel 1918 in tutta Italia anche per la nota beffa dannunziana) era municipio amministrativamente del tutto autonomo, con tanto di magistratura ed in seguito come Fiume, per decreto dell'imperatrice Maria Teresa d'Asburgo, porto franco. L'intento è infatti quello di farle diventare un'attrattiva turistica. Le guardie civiche comunque indosseranno quegli stessi costumi che portavano un tempo. Camicione di lino rigorosamente bianco, giaccone di panno blu scuro con bottoncini in argento, panciotto rosso e pantaloni bianchi e, immancabilmente, la sciabola. Questa era l'uniforme della "Militia urbana" di Buccari. A farsi promotori dell'iniziativa, che si rifà agli anni d'oro di Buccari che in passato ebbe un'importanza strategica nei collegamenti, nella navigazione e nella formazione dei marittimi, nello sviluppo della pesca ma anche in quello della cantieristica e della viticoltura, sono stati alcuni anziani abitanti del luogo che giustamente vanno assai orgogliosi del glorioso passato della loro piccola città.

Buccari nel corso della storia progredì soprattutto tra il 1225 ed il 1671, dapprima grazie a un decreto di Andrea II in base al quale la cittadina fu annessa alla contea di Vinodol e diventò possesso dei Frangepani, poi grazie al re d'Ungheria Mattia Corvino che nel 1480 la elevò al rango di città concedendole vari privilegi e quindi, dopo l'assedio ottomano (di cui resta traccia nella famosa casa turca ancora oggi esistente sul lungomare del centro storico) durato fino al 1670, passò in mano ai conti Zrinjski. In epoca medievale la cittadina si sviluppò intorno alla chiesa parrocchiale, dedicata a Sant'Andrea e all'antico castello a pianta triangolare, che è oggi in rovina, ma che risale al 1530. A disporne la ricostruzione, come conferma un'iscrizione glagolitica che è stata scolpita sull'architrave della porta d'entrata nella fortificazione, fu l'imperatore Ferdinando I, ma esisteva già molto prima.

Nel 1671 Buccari fu riunita a Fiume e in seguito passò sotto la diretta amministrazione dello stato che, a governare la cittadina, impose un suo capitano. Ed il periodo di maggiore fortuna economica di Buccari fu proprio quello, poiché erano tempi in cui attraverso l'odierna Litoranea adriatica, che era detta allora strada Carolina, transitavano tutte le merci destinate all'esportazione, anche via mare, e dal porto di Buccari, come da quello di Fiume, salpavano numerosi i mercantili. Tanti di quei velieri venivano costruiti proprio a Buccari. Questa situazione perdurò a vantaggio dell'economia e degli abitanti della piccola cittadina finchè nel 1883 le autorità imperiali non disposero la costruzione della ferrovia che andava da Fiume a Karlovac. Da quel momento in poi il transito merci iniziò a gravitare molto di più verso il capoluogo del Quarnero e Buccari perse l'importanza strategica che aveva avuto come fulcro del traffico marittimo e portuale. Restò tuttavia noto centro di istruzione di abili navigatori e coraggiosi capitani visto che la locale scuole nautica aperta nel 1849, era già allora ed è tutt'oggi una delle più note nella formazione dei quadri marittimi.

A parte il nautico ed i tanti capitani e marinai che ha istruito, Buccari va oggi estremamente orgogliosa anche di alcuni dei suoi prodotti doc che la popolazione del luogo si sforza di mantenere in vita: sono il mitico "bozzulai" (tanto era noto in passato questo biscotto di pan secco che i navigatori di Buccari si portavano dietro a bordo, che la sua fama arrivava anche fino alla Repubblica di San Marco, tant'è che le veneziane a Carnevale usavano mascherarsi di serve di monache con cesto di buzzolai) e lo spumantino locale detto "Bakarska vodica" che, stando alle leggende che circolano a Buccari tutt'oggi, un soldato di Napoleone rimasto ferito, soccorso e curato da una donna del luogo le insegnò a fare in segno di riconoscenza. Da allora in poi, stando ai racconti popolari, proprio per ricavarne lo spumantino sulle terrazzate tutte carso e masiere che circondano Buccari la gente del posto iniziò a coltivare la vite.

Buccari oggi conta poche migliaia di anime. Quel che offre a chi la visita è soprattutto il bellissimo panorama che si gode dalla Litoranea adriatica che costeggia la meravigliosa baia omonima un tempo così caratteristica per le sue tonnare per la pesca (purtroppo ne sono rimaste appena due) sulle quali ai bei tempi sedevano i pescatori più abili che da lassù segnalavano poi ai pescherecci la presenza dei banchi di pesce azzurro.

Novant'anni fa meta di una famosa beffa

Tra il 10 e l'11 febbraio del 1918 trenta uomini fra cui spiccavano, oltre Gabriele D'Annunzio, anche Costanzo Ciano (padre di Galeazzo) e Luigi Rizzo, appoggiati da un sommergibile e da alcuni caccia, fecero un'incursione su tre motosiluranti (i MAS Audace, l'Abba e Animoso) nella rada allora austro-ungarica di Buccari. Tutta l'operazione fu congegnata da D'Annunzio.

Pensavano di trovare forte resistenza: almeno una corazzata. Ma non fu così. Lanciarono sei siluri contro alcune navi mercantili ed che erano alla fonda e contro un grosso piroscafo. Cinque non esplosero, impigliandosi nelle reti di protezione. Uno scoppiò senza provocare danni e diede l'allarme. Le unità italiane comunque riuscirono indenni a riguadagnare il largo senza subire danni né perdite. D'Annunzio stesso lanciò in mare tre bottiglie sigillate in cui era un messaggio agli Austriaci: "In onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d'ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l'inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia". Per l'Italia, che stava riorganizzandosi e stava rimediando al disastro di Caporetto, l'eco del successo di quell'impresa fu notevole.

Di quella lontana avventura resta un libriccino edito nel 1918 dai fratelli Treves, dal titolo: "La Beffa di Buccari – con aggiunti 'La Canzone del Quarnaro', 'Il catalogo dei Trenta di Buccari', 'Il Cartello Manoscritto' e 'Due Carte Marine'".
(rp)

 

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