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La vera memoria non è quella retorica (Il Piccolo 29 lug)

LETTERE

Mi ha colpito ciò che ha scritto il sottosegretario on. Roberto Menia nell’articolo «Dico no a chi cancella la memoria» (Il Piccolo 17 luglio) in merito all’incontro tra i «Tre presidenti» avvenuto recentemente a Trieste.

Mi ha colpito perché anch’io come Menia sono, come ama definirli lo storico Marco Revelli: «un memorioso» e condivido l’idea che senza memoria del passato non c’è futuro e che il passato non è un’officina frequenatata solo dagli storici, ma è coscienza civile diffusa e partecipata di un’intera comunità. Ma ciò che mi preme aggiungere è che la memoria storico-civile di Roberto Menia è tanto, troppo diversa dalla mia. Lo affermo perché credo, come raccoglitore di memorie dei testimoni dei Lager nazisti e comunisti, che la memoria, per quanto essa sia frammentata e parziale ed espressione di un gruppo piuttosto che di un altro, ha il dovere di confluire in uno spazio pubblico unico, civile e condiviso. Altrimenti che comunità nazionale e civile costituiremmo?

So che mio nonno Marco nel 1924, a Materada in Istria, stava all’addiaccio intere notti sul tetto di casa imbragando il fucile perché i fascisti di Buie minacciavano di venire a dargli una sonora lezione. Nonno Marco a casa parlava croato e si faceva venire da Zagabria la stampa croata. Erano fatti imperdonabili per i fascisti italiani di Buie. Mio nonno, del resto, parlava fluentemente il dialetto italiano e si sentiva croato e italiano in ugual misura. Questa di nonno Marco è la mia Italia, ma non so se è quella di Menia.

Durante la Seconda Guerra mondiale, mio padre era impegnato a portare i soldi sul fronte russo. Era responsabile della tradotta militare che da Reggio Calabria attraversava la nostra penisola per arrivare a Odessa. Che dolore vedere questi suoi commilitoni andare incontro a una guerra così lontana, ingiusta e funesta. Quella era la guerra di Mussolini e del fascismo, ma l’Italia che io amo stava tra quei soldati alcuni dei quali mio padre, con grave rischio, faceva scendere dal treno per farli andare a trovare la famiglia con la promessa che avrebbero ripreso il treno la fermata successiva. Come dire loro di no quando il treno passava a pochi chilometri dai loro paesi?

La mia Italia è anche quella che ha visto poi mio padre fare la guerra partigiana e ha visto l’arrivo dei tedeschi come occupatori feroci e ha visto l’arrivo degli alleati come liberatori. Mio nonno, per questa Italia, è finito nelle fauci dei Lager nazisti morendo a Dachau (oggi una pietra lo ricorda nel Parco della Rimembranza a Trieste) mentre mio padre è stato arrestato dai tedeschi, alleati dei fascisti che tanto più in quel momento non rappresentano affatto la mia Italia.

Ancora la mia Italia è quella che non ha mai accettato, dico mai accettato, che i liberatori jugoslavi trattassero gli italiani dei confini peggio dei cani. È per questo che mio padre si è fatto tre mesi di lavori forzati a causa dei cosiddetti liberatori jugoslavi perché amava l’Italia e la pluralità. Anche lui, come il nonno, conservava l’amore per il croato, che parlava, ma amava l’Italia, la sua cultura, la sua comunità. Per questo la mia famiglia ha conosciuto l’esodo, il campo profughi di Trebiciano e l’insulto di sentirsi dire «fascisti» dagli sloveni del nostro Carso aggiogati da una propaganda di parte e faziosa. La sinistra italiana, soprattutto quella comunista, ha capito poco questa storia e la destra ha capito ancora meno. Ambedue ne hanno fatto serbatoio di voti alimentando le contrapposizioni.

La memoria della nostra Italia è unica: è fatta di libertà, di cultura della tolleranza e della convivenza pacifica tra le nazioni, le lingue, le fedi religiose. Ciò che è incredibile è che questa memoria, la memoria della mia famiglia della quale vado assolutamente orgoglioso, è senz’altro la memoria dei più. Eppure la memoria politica, spesso anche quella degli storici, è la memoria della parzialità, del vittimismo, della retorica.

Hanno fatto bene i tre presidenti a cercare di andare avanti, solidali e uniti. Non saranno questioni di lana caprina a dividerci ancora una volta tra sloveni, italiani e croati, perché dobbiamo stare assieme, subito, in pace con le coscienze. Concordo con l’on. Menia che non si può, né si deve dimenticare. Resta il fatto che la mia Italia non è nemmeno quella parziale della sua Italia perché io la vedo unita, democratica, solidale e orgogliosa della sua identità. Quando faremo un passo avanti?

Marco Coslovich

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