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La storia di Hemingway e Adriana Ivancich (Il Piccolo 20 gen)

di IVANA GODNIK

CORTINA Ernest Hemingway dietro la piccola portatile tedesca con la quale scrisse alcune delle sue pagine più importanti. Ernest Hemingway con in mano un libro. Ernest Hemingway davanti alla bottiglia del Don Perignon. Ernest Hemingway con le sue donne: la moglie Mary Welsh, l'amica Fernanda Pivano, la giovane baronessa diciannovenne Adriana Ivancich.

Sessantacinque foto in mostra fino a fine mese al Vecchio Municipio di Cortina. Il titolo: "Il Veneto di Hemingway, Cortina d'Ampezzo 1948 – 1950". Un racconto per immagini, una storia sussurrata attraverso 65 scatti che narrano le gite sulle Dolomiti, le battute di caccia, i bicchieri scolati al bar dell'Hotel Posta, il Capodanno passato con la moglie Mary a Villa Aprile, le scampagnate con l'amica Fernanda, le soste alla Genzianella. L'incontro fatale con la giovane nobildonna veneziana, Adriana Ivancich, della quale s'invaghì fino a perderci la testa.

Ernest Hemingway e sullo sfondo il Veneto. Ci sono tutte le sue certezze. La caccia, le battute di pesca, il combattimento. Presente allo stesso modo l'alcol: i Martini bevuti al banco dell'Harry's bar e le bottiglie del Valpolicella sorseggiate nelle stanze del Gritti a Venezia o durante i lunghi soggiorni al Torcello.

Ci sono tutti i suoi luoghi sacri di Cortina: l'Hotel Concordia, l'Hotel Posta, dove lavorò alla stesura definitiva del romanzo "Di là dal fiume e tra gli alberi". Nella Conca Ampezzana Hemingway incontrò per la prima volta Fernanda Pivano: molte delle fotografie sono state scattate proprio dal marito di lei, Ettore Sotsass.

Una testimonianza del rapporto speciale intessuto dal romanziere con la conca Ampezzana che insieme a Venezia e a Cuba rappresenta uno dei luoghi mitici dell'immaginario hemingwayano. Una mostra che racconta un'epoca, attraverso aneddoti, gossip e realtà. Perché è proprio in quel periodo, tra il 1948 e il ’50 che Hemingway incontrò Adriana Ivancich, la ragazza veneziana, di origini dalmate (figlia di Carlo Ivancich, diplomatico, la cui famiglia di armatori all'inizio dell'Ottocento si era trasferita da Lussinpiccolo a Venezia), alla quale si ispirò per il personaggio di Renata in "Di là dal fiume e tra gli alberi". Romanzo uscito negli Stati Uniti in una prima versione a puntate su ”Cosmopolitan”, per venire pubblicato qualche mese più tardi in forma di romanzo.

Galeotto tra la baronessina e il romanziere sembra essere stato un piccolo pettine, come raccontava la stessa Fernanda Pivano: «All'inizio del dicembre 1948 Hemingway era andato a caccia di pernici con il conte Carlo Kechler, fratello del suo grande amico Federico, in una riserva di caccia del barone Nanyuki Franchetti, vicino a Latisana. La sola donna presente era la bellissima baronessa diciannovenne Adriana Ivancich, che aveva aspettato i cacciatori vicino al fuoco della cucina. Forse Adriana stava lì ad aspettare Hemingway per conoscerlo; Hemingway si era innamorato a prima vista e l'aveva sedotta spezzando il suo pettine e dandogliene una metà».

Dopo averla frequentata per diversi mesi, Hemingway la invitò nella sua casa a Cuba, proponendole poi di seguirlo durante un lungo viaggio attraverso le Americhe. Ma l'opposizione della madre della ragazza lo costrinse ad abbandonare l'idea, continuando però a scriverle lettere e a intrattenere con lei una fitta corrispondenza.

Da poco orfana di padre, Adriana Ivancich fu quasi adottata dallo scrittore, che continuava a chiamarla "Daughter", mentre lei lo chiamava "Papa" come scrisse la stessa Ivancich nel suo libro di memorie "La torre bianca", uscito pochi anni prima della sua morte, nel 1980. Fu proprio lei a ispirargli il personaggio di Renata in "Di là dal fiume e tra gli alberi", ma la descrizione del legame della giovane con il colonnello Cantwell, di trent'anni più vecchio, suscitò sdegno e scandalo nell'alta società veneziana dell'epoca. Perché nonostante Hemingway si fosse premurato a vietare la traduzione del romanzo in italiano per almeno due anni, tutelando così la Ivancich dal possibile scandalo che avrebbero potuto suscitare i palesi riferimenti presenti nel racconto, l'identificazione del personaggio femminile scatenò le malelingue e i pettegolezzi dei rotocalchi dell'epoca. Il romanzo venne così pubblicato in Italia appena nel 1965.

Una giovane donna, Adriana Ivancich, che proprio per colpa degli insistenti pettegolezzi che circolano su di lei e lo scrittore simbolo del Novecento, si vede costretta a lasciare Cuba, dove si era recata qualche mese prima, assieme alla madre per fare visita all'amico Ernest. «Era una ragazza bellissima – ricorda Arrigo Cipriani -. Nonostante avesse qualche anno più di me, era impossibile non innamorarsene. Era una donna molto particolare, affascinante».

«Quando ti ho conosciuta non riuscivo più a scrivere, è grazie a te che ho ricominciato», le confidava Hemingway. E per farlo forse non avrebbe potuto scegliere una cornice migliore della suggestiva isola di Torcello. «Nell'isola, al primo piano della Locanda – racconta ancora Cipriani -, aveva un suo appartamento. Tra il 1949 e il 1950 mio padre decise che per Hemingway avrebbe tenuto aperta la Locanda Cipriani di Torcello anche durante l'inverno. La Locanda divenne la sua casa. Nonostante sembrasse vivere liberamente durante il giorno, era di un'implacabile precisione nel suo lavoro. Alle dieci di sera, salvo rarissime eccezioni, abbassava per così dire la saracinesca e si ritirava nel suo appartamento a scrivere. Voleva in camera sei bottiglie di amarone, un vino veronese. Gli duravano tutta la notte; la mattina le trovavano vuote. All'alba spesso andava a caccia di anatre».

All'Harry's Bar invece aveva un tavolino tutto suo in un angolo. Beveva Martini. «Che però chiamava Montgomery – ricorda Cipriani – perché voleva che fossero rispettate tra il gin e il vermouth le stesse proporzioni che il generale inglese era solito applicare, in battaglia, tra i suoi soldati e quelli nemici: quindici a uno. A quel tempo stava finendo "Di là dal fiume e tra gli alberi". Una mattina, mentre ero in giardino alzai la testa e, appoggiato al davanzale, vidi un cliente con una grande barba grigia. Mi salutò con la mano e io gli risposi con un timido inchino. Era Ernest Hemingway. Io non avevo ancora letto nessuno dei suoi libri, ma la zia Gabriella mi aveva parlato di lui come del più grande scrittore vivente. Fui impressionato più dalla complicità allegra del suo gesto che dal fatto che lui fosse un'importante personalità».

Ernest Hemingway, che aveva fatto la prima guerra mondiale in Italia, soprattutto nel Veneto, era piombato all'Harry's Bar nell'autunno del 1949. Il Premio Nobel gli sarebbe arrivato quattro anni più tardi, ma della sua leggenda erano già piene le storie letterarie e i giornali.

Si divise tra l'Harry's Bar, il Gritti e la Locanda di Torcello. «Circolava a quei tempi una simpatica foto nella quale lui e mio padre – dice Cipriani – sono ritratti assieme, entrambi con degli enormi sombreri in testa; mio padre sorridente, lui, invece, con la barba grigia, come immerso in un sogno, davanti a un'alluvione di bicchieri vuoti. Quei bicchieri se li erano vuotati lui e mio padre, che dovette poi rimanere a letto tre giorni per smaltire la sbornia. Era stata l'unica volta in cui aveva ceduto e aveva bevuto con un cliente. Perché mio padre diceva che nella vita noi non possiamo avere amici, solo clienti».

«Hemingway aveva una personalità così forte che non c'era alcuna possibilità di erigere steccati. Con un calcio lui abbatteva le barriere che non gli piacevano, capace magari di erigerne altre, se qualcuno non gli andava a genio. Ma era raro. La sua pazienza superava la media. Era di una magnanimità perfino eccessiva: riempiva più pagine dei suoi carnet di assegni che pagine di romanzo, tant'era generoso. Per pagine come queste ogni tanto ci sentiamo dire. Certo che Hemingway ha fatto una bella pubblicità al locale! Se l'interlocutore ha il senso dell'umorismo gli rispondiamo: ”Guardi che si sbaglia, siamo stati noi a farne a lui! Non per niente ha vinto il Nobel dopo aver scritto sull'Harry's bar e non prima!”».

«A Venezia Hemingway aveva molti cari amici – conclude Cipriani -. Naturalmente, oltre agli amici, c'era un buon numero di artistucoli snob che cercavano un'ombra di gloria riflessa, appena un fotografo inquadrava lo scrittore, correvano a metterglisi accanto. Lui lasciava fare purché fossero almeno un po' divertenti. Qualche volta andava a sciare a Cortina, guidando personalmente una monumentale auto scoperta. Gli amici raccontavano che arrivava con la faccia paonazza e la barba completamente ghiacciata».

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