La scelta irredentista dei giovani italiani d’Austria allo scoppio della Grande Guerra

Il 28 luglio 1914 i colpi di pistola che da Sarajevo avevano echeggiato per tutta Europa un mese prima lasciarono il posto al crepitare di mitragliatrici e fucili, allo scoppio di bombe e granate, allo schianto dei siluri e alle urla di milioni di combattenti. L’Austria-Ungheria dichiarava guerra alla Serbia, scatenando una reazione a catena nel meccanismo di alleanze che aveva diviso l’Europa in due blocchi. Il piccolo regno balcanico aveva respinto il pretenzioso ultimatum della diplomazia viennese, forte dell’appoggio della Russia e a sua volta la monarchia danubiana si faceva forza dell’alleanza con il secondo Reich germanico.

Anche Montenegro, Francia, Belgio, Inghilterra con tutti i suoi domini coloniali e Impero turco sarebbero ben presto entrati nel vortice di un conflitto che per spiegamento di uomini e di mezzi tecnologici non aveva precedenti nella storia dell’umanità. In tale situazione il Regno d’Italia proclamò la sua neutralità, in quanto la Triplice Alleanza che lo legava a Vienna e Berlino aveva carattere difensivo e l’impero asburgico non era stato attaccato, anzi, aveva mosso guerra per primo.

Nel corso di quell’estate centinaia di giovani triestini, istriani, goriziani, fiumani e dalmati, ma anche trentini, passarono il confine italo-austriaco per non rispondere alla chiamata delle armi dell’Imperatore Francesco Giuseppe. Altri nel corso dei combattimenti sul fronte russo avrebbero disertato o si sarebbero lasciati fare prigionieri dall’esercito zarista. Era la gioventù irredentista, cresciuta nel mito del sacrificio di Guglielmo Oberdan e suggestionata dagli ideali mazziniani di una lotta comune per la liberazione dei popoli oppressi o dalle idee nazionaliste di potenza e di grandezza della propria Patria.

La nazionalità italiana nella quale si identificavano (l’irredentismo era un fattore identitario soprattutto culturale, ben lungi dal nazionalismo germanico e slavo “terra e suolo” proclive a sfociare nel razzismo) era entrata in contrapposizione con la cittadinanza austriaca. Invece di andare a combattere contro la Serbia, che aveva compiuto un percorso di riunificazione nazionale parallelo al Risorgimento italiano, scelsero di esfiltrare in Italia, contribuire alla campagna interventista e mettersi a disposizione del Regio Esercito, potendo anche fornire una conoscenza approfondita dei luoghi e delle coste in cui si sarebbe svolta un Quarta guerra d’indipendenza necessaria a completare l’Unità d’Italia.

Nazario Sauro, i fratelli Stuparich, Scipio Slataper, i fondatori del Fascio Giovanile Istriano e della Giovine Fiume, Francesco Rismondo, Giovanni Host-Venturi, ma anche Cesare Battisti, Damiano Chiesa e Fabio Filzi sono alcuni dei nomi più famosi di questi italiani provenienti dalle terre che tre Guerre d’Indipendenza non aveva ancora sottratto al dominio asburgico. Molti di loro caddero in battaglia oppure impiccati dopo essere stati fatti prigionieri, riconosciuti e condannati in qualità di traditori. Vie, scuole e monumenti in tutta Italia ancora li celebrano come combattenti e grandi connazionali. Gli esuli adriatici li ricordano come uno dei simboli di volontà della propria comunità, radicata da secoli nella Venezia Giulia, a Fiume ed in Dalmazia, di appartenenza all’Italia non solo come lingua, cultura e tradizione, ma anche in un unico Stato.

Lorenzo Salimbeni 

 

 

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