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La parte canadese di Mr. Fiat (Il Riformista 05 giu)

di Marco Ferrante

ANTICIPAZIONE. Pubblichiamo un brano tratto dal libro “Marchionne – l'uomo che comprò la Chrysler” (Mondadori, pagg. 123, euro 17,00) di Marco Ferrante, che sarà in libreria dal 9 giugno.
 
Probabilmente le cose sarebbero andate in maniera completamente diversa se il maresciallo maggiore dei carabinieri Concezio Marchionne da Cugnoli, paesino in provincia di Pescara che negli anni Sessanta contava poco più di duemila abitanti, una volta raggiunta la pensione anticipata nel 1966, all’età di cinquant’anni, non avesse deciso insieme alla moglie Maria Zuccon di andarsene in Canada.

Fu anche per curiosità, naturalmente, ma soprattutto perché non si fidava dell’Italia per il futuro dei suoi ragazzi. La spinta decisiva venne da un richiamo famigliare. Lui e sua moglie si erano conosciuti durante la seconda guerra mondiale in Alta Italia. Si innamorarono. Concezio era un giovane sottufficiale, Maria una profuga istriana figlia di commercianti, che avevano un emporio a Carnizza, dalla parte di Pola, e proprietà abbandonate oltre il nuovo confine con la Iugoslavia. Un padre e un fratello infoibati, la madre e un altro fratello rimasti in Istria. Lei e sua sorella Anna fuggite.

Il Centro di documentazione multimediale della cultura giuliana istriana fiumana dalmata ha intervistato Maria Zuccon Marchionne nel settembre 2007. Lei raccontò: «Nel 1943, dopo l’8 settembre vennero ad arrestare mio padre. Non era gente del posto, anche se i mandanti, chissà… Mio fratello, che era militare di leva, giunse a casa proprio in quei giorni e andò a cercare notizie su nostro padre. Non ritornarono più e di loro non si seppe mai più nulla … Noi tre donne di famiglia lasciammo Carnizza e ci rifugiammo nella casa del nonno, in campagna. L’altro fratello era militare in Sardegna. Furono anni difficili. Dall’emporio venne portato via tutto, sequestrato dal potere popolare. Si fece addirittura un processo sulla pubblica piazza affidato a un funzionario che non avevamo mai visto prima. Fu Anna, con un coraggio invidiabile, a presentarsi con in mano il registro dei creditori. Mio padre aiutava volentieri le famiglie nel momento del bisogno, gli chiedevano dei prestiti e lui segnava sul famoso libro.
A volte pagavano, spesso non ce la facevano ma rimaneva la parola data, prima o poi avrebbero saldato. Non fu necessario aprire il libro, la popolazione locale difese la famiglia e questo ci diede un po’ di consolazione. Ma il ritorno dei nostri cari… non avvenne mai. Mio padre aveva quarantanove anni».

Maria sposò Concezio, e sua sorella Anna un amico di Concezio, Zopito Sablone. Concezio doveva il suo nome al fatto di essere nato il giorno dell’Immacolata mentre il cognato al santo patrono del paese di Loreto Aprutino. Anna e il marito andarono in Canada per primi, e a Toronto aprirono un negozio di abiti da sposa, nel quartiere di St Claire, ai margini della vecchia Little Italy. Si chiamava «Pola ladies wear». Ad Anna «era sempre piaciuto occuparsi di commercio, anche a Carnizza nel nostro emporio si potevano comprare vestiti, stoffe. Si andava a Trieste insieme a ordinare la roba e ogni volta compravo un cappellino, mi piacevano tanto. Pola in quegli anni era una città elegante, la gente vestiva alla moda».

In Canada erano anni ruggenti. Quando li raggiunsero, Concezio fondò la sezione dell’Associazione nazionale dei carabinieri. Ci fu un periodo in cui ebbe in animo di aprire un’agenzia di viaggi, ma poi non se ne fece niente. Comprò degli appartamenti e visse con una piccola rendita. Maria lavorava con Anna al negozio.

In Istria, Maria è tornata di rado. «Sono andata a rivedere mio fratello. … fu lui a occuparsi della famiglia. E quando noi ragazze ce ne andammo rimase con nostra madre che mai si sarebbe spostata da quei luoghi, e così è stato. Vive nella nostra casa di Carnizza. Ho portato i miei figli e i miei nipoti a vedere il luogo dove sono nata, ma la sofferenza dei ricordi non ha permesso di allacciare rapporti più stretti con quella realtà, anche se la bellezza di Pola, di Carnizza, e l’affetto dei famigliari sono certamente un richiamo». Da Carnizza Maria portò via solo una madonnina che era stata di sua madre. «Aspettate, ve la faccio vedere!» dice all’intervistatrice.

Sergio Marchionne, che era nato a Chieti nel 1952, arrivò in Canada che aveva quattordici anni. Solo un secolo prima, le ondate di immigrazione avevano i caratteri avventurosi dell’incognito. Alice Munro, grande scrittrice canadese di racconti, descrive l’arrivo dei suoi antenati scozzesi nel luglio 1818. Ecco l’avvistamento di un lembo di Terranova: «È la giornata delle meraviglie. La terra è coperta di alberi come una testa di capelli fitti, e dietro la nave, il sole sorge bagnando di luce le chiome. Il cielo è sereno e luminoso come un piatto di porcellana e l’acqua appena arruffata dal vento. Ogni fiocco di nebbia è svaporato, e nell’aria è denso l’odore di resina delle piante. Gli uccelli marini guizzano sopra le vele, tutti d’oro come creature del Paradiso, anche se i marinai sparano qualche colpo per tenerli lontani dal sartiame». Un suo pro-pro-pro-zio registra nel diario della traversata: «Oggi abbiamo avvistato parecchie balene, creature incredibili che non avevo mai visto in vita mia».

Nei tempi moderni le «creature incredibili» sono i mezzi di trasporto. I primi ricordi di Marchionne sono le auto americane e i tram rossi e crema, molto più grandi di quanto lo fossero in Italia. E poi i Fruit loops, anelli di cereali colorati e al gusto di frutta.

Si mise a studiare inglese iscrivendosi a un corso che il governo offriva agli immigrati per integrarsi, poi entrò alla scuola dei padri basiliani, la St Michael’s College School, e cominciò il cursus canadese. A Clemente Mimun racconta che ci mise sei anni per riuscire a parlare l’inglese senza vergognarsi dell’inflessione italiana. Sei anni persi con le ragazze, dice a Mario Calabresi. Finì le scuole superiori e andò all’università. Prima si laureò in filosofia, poi in economia e commercio e infine in legge. Gli sarebbe piaciuto insegnare, lui psicologicamente si sentiva soltanto un bravo tecnico, uno che avrebbe potuto diventare un fiscalista, un avvocato, magari uno scienziato, certo non un manager.

Inizia a lavorare mentre studia. Nel 1983, a trentun anni, entra nell’area fiscale di Deloitte Haskins & Sells, una delle prime quattro società globali per la consulenza e la revisione contabile. Nel 1985 lascia Deloitte per il Lawson Mardon Group, una società di packaging, produzione di materiali da imballaggio. Nel 1989 se ne va e in tre anni fa un paio di passaggi alla Glenex e alla Acklands, azienda di componentistica automobilistica, dove ricopre cariche di vertice (in Acklands è il cfo). Nel 1992 torna al Lawson e lì ha il primo contatto professionale con l’Italia.

La società era stata comprata da Sergio Cragnotti, che uscendo dalla Montedison aveva fondato una merchant bank, la C&P, Cragnotti & Partners Capital Investment. Si dice che nel 1991 l’idea di Cragnotti fosse quella di anticipare il suo ex datore di lavoro Raul Gardini, interessato anche lui al Lawson perché pensava di integrarla con la Jamont, una joint venture attiva nel settore della produzione cartaria messa in piedi con gli americani. Dunque, Cragnotti compra il 32 per cento del capitale di Lawson e la maggioranza dei diritti di voto. Marchionne arriva mentre Cragnotti è impegnato in un’operazione speculativa. Vuole sistemare i conti di Lawson, appesantiti da un debito che risale a una precedente operazione di management buy-out, e poi rivenderla. La vende agli svizzeri di Alusuisse Lonza, con una plusvalenza di oltre 60 milioni di dollari. La Consob canadese rileva un’attività speculativa sui titoli, multa Cragnotti e lo condanna all’interdizione da qualunque attività futura nel paese.

Questa la versione di William Blundell, già presidente e direttore generale di General Electric Canada, che tra il 1991 e il 1994 era a capo del board del Lawson Mardon Group: «Ci conoscemmo nel 1992, quando decidemmo di strappare Marchionne alla Acklands Ltd, dove era da tempo responsabile dell’area finanza. Al Lawson Mardon Group, Sergio fu scelto come vicepresidente e cfo. Aveva già lavorato per noi anni prima, e quello era per certi versi un ritorno a casa nel palazzone tra Mississauga Road e la Highway 401, dove era la sede del gruppo. La scelta cadde su di lui perché, oltre a conoscerlo già, sapevamo di puntare su una persona dotata di grande preparazione e personalità. E poi, bisognava prendere le misure a Sergio Cragnotti, che nel frattempo era diventato l’azionista di maggioranza del nostro gruppo. Non si trattò d’un compito facile, perché Cragnotti aveva la tendenza a impegnarsi in operazioni che, a nostro parere, poco avevano a che fare con gli interessi degli altri azionisti. In un certo senso, fu una bella sfida che io e Sergio, unici rimasti della vecchia guardia dopo il repulisti iniziale, accettammo con entusiasmo. Con Cragnotti avevamo, nel complesso, una buona relazione umana: il problema era arginarne lo stile di finanziere che mal si combinava con le abitudini del capitalismo canadese. Quando il finanziere italiano finì agli arresti domiciliari, gli svizzeri di Alusuisse Lonza si fecero avanti per rilevare il suo pacchetto di maggioranza. Fu Sergio a gestire l’operazione, e non si trattò di una cosa semplice. Bisognava superare le loro riserve, a cominciare da quella proprio nei confronti di Sergio che – a causa del cognome italiano – veniva considerato uomo di Cragnotti. Dovetti garantire io che, al contrario,

Marchionne aveva fatto il possibile per salvaguardare l’azienda. Alla fine, gli azionisti approvarono il passaggio di mano e Sergio fu incaricato di redigere la due diligence. Fece un gran lavoro e gli svizzeri lo apprezzarono a tal punto che quello stesso presidente, che all’inizio aveva dubitato di lui, anni dopo lo indicò come suo successore alla carica di amministratore delegato di Alusuisse».

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