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Karadzic a processo per l’orrore di Srebrenica (Il Piccolo 24 ott)

di AZRA NUHEFENDIC

TRIESTE Il processo a ex leader serbo bosniaco Radovan Karadzic, davanti al Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia (Tpi) è fissato per lunedì. Karadzic è accusato per il genocidio e i crimini contro l'umanità. Radovan Karadžic respinge tutti i capi d'accusa a suo carico e «non vede l'ora di presentarsi di fronte alla corte per dire la verità in merito a quanto accaduto in Bosnia è impaziente di provare la propria innocenza», ha dichiarato Edward Medvene, uno degli avvocati-assistenti dell’ex presidente dei serbi bosniaci.

L’IMPUTATO. Radovan Karadžic è stato catturato il 21 luglio dell’anno scorso a Belgrado. Da quando è in carcere ha inoltrato più di 400 richieste al Tribunale, quasi tutte respinte perché ritenute infondate. Ma la sua strategia funziona: l’inizio del processo è stato spostato già tre volte. L’ex presidente dei serbi bosniaci ha deciso di difendersi da solo. Questo avrà due conseguenze certe: il processo si prolungherà, e questa strategia gli permetterà di usare il Tribunale per uno show politico come ha già fatto Slobodan Miloševic prima di lui e come sta facendo Vojislav Šešelj. Entrambi, invece di puntare sulla difesa, hanno fatto in aula discorsi politici.

L’ACCUSA. Carla Del Ponte, ex procuratore capo del Tribunale, ha messo in guardia contro i rischi legati al consentire il ricorso all'autodifesa: «Il principio della difesa svolta personalmente dall’imputato offre un’opportunità troppo vasta di trasformare il banco degli accusati in un pulpito per comizi, e il processo in un circo politico». Il processo a Radovan Karadžic potrebbe durare alcuni anni, ma il Tribunale dell’Aja non avrà tutto tempo a disposizione. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha fondato Il Tpi ha deciso che il Tribunale deve chiudere entro il 2012.

L’accusa che sta per affrontare Radovan Karadžic è, a dir poco, gigantesca. E’ incriminato per il genocidio di Srebrenica, e altre dieci città, di pulizia etnica, persecuzione e deportazione di civili, per la campagna di terrore su Sarajevo assediata, per la presa in ostaggio di militari internazionali. In tutto, ci sono più di un milione di pagine di materiale probatorio e 530 testimoni. Tra i primi testimoni sarà la signora Dženana Sokolovic da Sarajevo. Nel 1992 lei fu ferita e il suo figlio Nermin, di sette anni, fu ucciso da un cecchino.

I TESTIMONI. «Non ha sparato Karadzic, ma lui stesso aveva ordinato ai suoi soldati di sparare, di uccidere un bambino di sette anni», dice la signora Sokolovic. Alla prima udienza dopo la cattura, Karadžic si è dichiarato non colpevole. Poi ha accusato gli americani, la comunità internazionale, le stesse vittime, le grandi potenze, i paesi musulmani, i comunisti, i diplomatici, la storia, tutto e tutti per «il bagno di sangue in Bosnia che sarebbe stato peggiore di quello in Libano», come lui stesso aveva promesso a Ginevra, nel 1992, dopo il fallimento delle trattative per fermare la guerra. Fino ad ora, nelle dichiarazioni di Radovan Karadžic al Tribunale, non c'è stata nessuna traccia del comportamento che mi sarei aspettata da parte «dell'eroe nazionale», come viene celebrato in Serbia e Republika Srpska, uno che è «già entrato nella leggenda», come sostengono i nazionalisti serbi.

L’IMMUNITÀ PROMESSA. Mi aspettavo che avrebbe detto: «Sì, sono stato io, perché ne ero convinto, perché ritenevo che fosse giusto, perché facevo il mio dovere, perché difendevo…» Niente. Radovan Karadžic pretende, come qualsiasi piccolo criminale che collabori con la giustizia, di essere perdonato. «Gli americani mi hanno garantito l’immunità», ripete. Karadžic non ha preso un difensore legale, ma lo sta aiutando, gratis, un team di circa trenta avvocati-consiglieri, tra i quali i massimi esperti mondiali coadiuvati da un gruppo di giuristi provenienti da Serbia e Bosnia.

«Più uno è accusato, più ha bisogno di aiuto». Così l’avvocato Peter Robinson ha motivato la propria partecipazione al team. Il celebre legale americano, dopo aver incontrato Karadžic in Tribunale, ha dichiarato di essere rimasto impressionato dalla sua intelligenza, sorriso caloroso e buona conoscenza dell’inglese.

«I più grandi crimini, quelli terribili come il genocidio, sono stati avviati ed eseguiti da persone gentili e piacevoli che, facilitate dall'assenza di sanzioni e dall’ipocrisia del mondo, hanno potuto compiere i loro misfatti. La differenza tra Karadžic e Hitler sta solamente nel fatto che Karadžic possedeva una macchina per uccidere più piccola. Entrambi uccidevano senza dubbi né riluttanza», ha scritto Miljenko Jergovic, scrittore bosniaco.

Un altro scrittore, Mile Stojic, si ricorda che «eravamo tutti sorpresi dall’odio che Karadžic emanava dai suoi discorsi politici già all’inizio del 1990. L’odio nei confronti della città si trasformava nell’odio verso i musulmani, l’Europa, l’Occidente. Come il Santo Ivan, che parlando trasformava tutto in oro, così Karadžic trasformava tutto in odio». Durante l’incontro con l'ultimo ambasciatore americano in Jugoslavia, Warren Zimermann, Karadžic aveva dichiarato che «i croati sono fascisti e i musulmani fondamentalisti islamici». Dopo, Zimmermann scrisse nel suo libro che «il fanatismo di Karadžic, la sua spietatezza e disprezzo per i valori umani, portano al paragone con un mostro di altri tempi: Henrich Himmler».

NARCISISMO A differenza del suo mentore politico, Slobodan Miloševic, che si assicurava di non lasciare nessuna traccia delle decisioni che prendeva e degli ordini che rilasciava, Radovan Karadžic amava filmarsi, rilasciava interviste volentieri, firmava i documenti, dava con piacere gli ordini. Le prove a suo carico sono talmente numerose che la procura, già tre volte, ha ridotto le accuse rinunciando a un certo numero di testimoni per cercare di preparare un processo di dimensioni razionali. «La strada che avete scelto vi porterà verso l'estinzione», minacciava Karadžic i bosniaci nel 1991. Poi, tramite la radio di Belgrado, affermava: «Quando noi non bombardiamo Sarajevo, si cannoneggiano da soli». In un'intervista alla Tv Americana Cbs, nel 1995 sosteneva che «l’Europa sarà grata ai serbi, perché l’hanno protetta dal fondamentalismo islamico», presumibilmente uccidendo i musulmano bosniaci.

Nel 1993 si faceva filmare con un ospite, il poeta russo Eduard Limonov. Passeggiavano sulle coline sopra la Sarajevo sofferente e assediata. Karadžic spiegava all’ospite che «Sarajevo è una città serba», e che «i musulmani sono serbi convertitisi all'Islam». Alla fine gli offriva, generosamente, di sparare una raffica di mitragliatore sulla città indifesa.

E Limonov sparava. Quando i rappresentanti delle Nazioni Unite protestavano perché i serbo bosniaci avevano preso in ostaggio i caschi blu, Karadžic li avvertiva che «sarete tutti legati al faggio». Minacciava la comunità internazionale di una terza guerra mondiale, nel caso avesse deciso di attaccare i serbi. «Non sarebbe difficile procurarsi l’arma atomica, nel caso non l’avessimo già», assicurava al quotidiano belgradese «Vecernje Novosti». Oggi, dal carcere dell'Aja, Radovan Karadžic rilascia di nuovo interviste a varie testate internazionali. Dice che «ha la coscienza pulita», e che non si pente del suo ruolo che, precisa modestamente, sarà giudicato dalla storia.

LA DIFESA. Gli dispiace, dichiara, per tutte le vite perse. Ignora il proprio ordine del 1995, quando aveva intimato al presidente del Partito democratico serbo (Sds) di Bratunac, Miroslav Deronjic, «uccideteli tutti», riferendosi ai musulmani di Srebrenica. In un'intervista all'agenzia olandese Anp, sostiene, che le uccisioni non erano pianificate. Nel marzo 1995 lui stesso aveva firmato la direttiva numero 7, nella quale istruiva: «Pianificare le azioni militari per creare a Srebrenica e Zepa una situazione insostenibile, di totale insicurezza, che non lasci agli abitanti nessuna speranza di sopravvivenza». L’ex presidente dei serbi bosniaci si è detto «orgoglioso di aver fatto il proprio dovere senza arricchirsi». Nel 1992, però, un suo collega, l’ex presidente della Republika Srpska, Goran Hadzic, ancora latitante, affermava che «Radovan è andato a Londra con la valigia piena di soldi, e quando non si occupa della questione serba fa business».

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