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”Italiani in scuole slovene, una ricchezza” (Il Piccolo 28 gen)

di GABRIELLA ZIANI

Il segretario dell’Unione slovena Damijan Terpin lamenta la presenza di alunni italiani nelle scuole con lingua d’insegnamento slovena («i nostri bambini a ricreazione parlano italiano, perché piuttosto non si insegna lo sloveno nelle scuole italiane?»). Un po’ come dire: si facciano più in là. L’argomento fa sobbalzare (molti e immediati anche i commenti sul sito di Facebook del «Piccolo»), mentre vista dalle aule scolastiche la questione è un’altra: riguarda casomai la tensione a dare a ciascuno una cultura adeguata, con mezzi che scarseggiano e calano. Per corsi aggiuntivi, per esempio, che si fanno e da tempo, perché nelle scuole slovene a ignorare la lingua non sono solo bambini neoiscritti di lingua italiana, ma (come nelle scuole italiane) romeni e serbi e d’altre parti del mondo, c’è per esempio alle elementari un bimbo brasiliano i cui genitori, pur consigliati di iscrivere il figlio a una scuola italiana più facile per ceppo linguistico, hanno insistito per quella slovena.

E così i piccoli italiani si ritrovano, per difficoltà linguistica iniziale, alla pari con gli scolaretti che la politica chiama «extracomunitari» e che il ministro Gelmini vorrebbe limitare al 30% del totale in ogni classe per non rallentare il ritmo di studi. «Crudele ma vero – afferma Marjan Kravos, direttore della elementare Ivan Grbec di Salita de Marchi ma anche di molte altre scuole dalla materna in su a guida «verticalizzata» e tutte in centro città -, e noi ormai ci facciamo spesso la domanda: ”a che cosa servono le nostre scuole slovene?”. La mia risposta: servono alla popolazione del territorio, ma la presenza di bambini che non conoscono lo sloveno per forza rallenta i ritmi scolastici, per questo consigliamo di iscrivere i bambini già alla materna, a 3 anni giocando s’impara il linguaggio quotidiano, e ci vogliono non meno di 3 anni per acquisire tanta disinvoltura da poter apprendere anche le materie nella lingua nuova. Ma facciamo corsi e laboratori, anche d’estate. È una sfida: come dare il più possibile? Come ridurre il tempo di apprendimento? Non è un problema però – prosegue Kravos -, bensì un punto di forza, è un mezzo di conoscenza della lingua e della cultura slovena, è il disgelo per la comunità triestina. Per me – conclude – contesto multiculturale significa esprimersi nella propria lingua ed essere compreso dall’altro».

Cade un po’ di lato dunque l’appello di Terpin, perché a scuola, a contatto con le famiglie, si vedono anche i motivi di questa fusione, non nuova del resto (a Muggia molti genitori portano i figli oltre l’ex confine). Le opzioni sono due. Ci sono italiani (anche non triestini) che scelgono consapevolmente per i figli la scuola slovena come opportunità culturale, e ci sono (nel 50% dei casi secondo Kravos) famiglie con radice slovena nel tempo «assimilate» che decidono di tornare, coi figli, nel contesto culturale originario.

Il fenomeno, detto di «de-assimilazione», si vede in parte anche alle superiori, dove i ragazzi italiani in scuola slovena sono solo una piccola percentuale, «ma a quell’età già scelgono – spiega Loredana Gustin, preside dei licei Preseren e Slomsek -, e magari vogliono tornare alla lingua dei nonni, nel frattempo persa in famiglia. Un sondaggio alla Preseren ci ha detto che il 40% di non sloveni erano mistilingui (tanti ormai i matrimoni misti) e il 2-3% di lingua italiana. Comunque le scelte avvengono molto per caso e per praticità – dice la preside -, non per ”convinzione slovena”, chi fa interventi politici non conosce forse la situazione, io a scuola sento parlare sloveno, italiano, dialetto triestino, dialetto sloveno del Carso, non si può più parlare di ”annacquare” la slovenità, sono cose di un’altra generazione, i giovani non sentono questo macigno, e noi sloveni – conclude – non possiamo ulteriormente chiuderci…».

Quanto a insegnare lo sloveno nelle scuole italiane, si può fare e già si fa: il 20% dell’orario è riservato a scelte didattiche non ministeriali.

 

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