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Italiani in fila per investire in Slovenia (Il Piccolo 15 nov)

di NICOLA COMELLI

TRIESTE Tassazione del reddito d’impresa al 20%, detrazioni fino al 40% sugli investimenti in asset intangibili, una bolletta energetica inferiore di 40 punti circa a quella italiana e la possibilità di negoziare direttamente con il Ministero per lo Sviluppo economico investimenti superiori ai 12 milioni, o capaci di coinvolgere almeno 50 lavoratori – a trattare con il governo di Lubiana in questi giorni è la Renault, per l’apertura di una nuova linea di produzione nell’impianto della controllata locale Revoz, a Novo Mesto. Così, con questi strumenti, la Slovenia sta raccogliendo un interesse crescente da parte di molte imprese italiane, in particolare del Nord Italia, che stanno cercando condizioni più favorevoli per rilanciarsi e superare la crisi.

Negli ultimi dodici mesi sono state un centinaio le realtà che hanno bussato alla porta degli uffici di corso Buenos Aires, a Milano, dell’Agenzia governativa slovena per l’attrazione degli investimenti esteri. Il 70% si è limitato a chiedere delle informazioni; l’altro 30%, però, ha avviato una prima serie di valutazioni molto più concrete. «La tassazione – spiega la responsabile, Lara Cernetic – è certamente il fattore di richiamo maggiore, ancora di più di quello rappresentato dai finanziamenti, che risultano interessanti ma fino a un certo punto». Gli ultimi dati disponibili indicano che il flusso di investimenti diretti esteri in Slovenia, nel 2008, è stato di 1,3 miliardi. Nel 2007 era stato pari a 1,1 miliardi, mentre l’anno precedente ancora, il 2006, si era attestato a quota 513 milioni.

Un trend, dunque, in netto rafforzamento che porta Adriano Luci, presidente di Confindustria Udine, a parlare di «un rischio–travaso preoccupante di imprese e risorse, da contrastare al più presto con l’adozione di strumenti finanziari, fiscali e normativi tarati per mitigare le differenze con la Slovenia, e quelle similari che esistono con la Carinzia. Altrimenti – evidenzia – realtà di confine come il Friuli Venezia Giulia si troveranno in sempre maggiore difficoltà».

Oggi le società slovene nel cui capitale è presente almeno un investitore italiano sono circa 600. Quelle controllate effettivamente da compagini italiane, e che non svolgono attività meramente commerciale o di distribuzione, sono un centinaio e, stando anche ai conti fatti dalla sede lubianese dell’Ice, l’Istituto per il commercio estero, hanno un giro d’affari di circa 400 milioni e impiegano 4mila addetti. Numeri destinati a crescere nei prossimi mesi, con ogni probabilità. Flenco (turbine), Yulon (tessile, controllata dal gruppo Bonazzi), Ilmest e Lesonit (legno, rispettivamente controllate dalla Ilcam e dalla Fantoni), sono tra le più note realtà italiane attive oltre confine. «In Italia – fa notare Luci – ancora non ci siamo resi conto che da tempo, in tutto il mondo, è in corso una forte competizione tra territori per l’attrazione di imprese e la creazione di posti di lavoro. Se non faremo qualcosa, e se non lo faremo in tempi brevi, rischiamo di non poter più recuperare il terreno perduto». Una competizione, quella alla quale fa riferimento Luci, che la Slovenia ha impostato tutta sulla qualità degli investimenti.

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