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Io, genovese per ”deportazione”

da Il Giornale del 24 dicembre 2010

Uno strano scherzo del destino mi ha tenuto, tra novembre e dicembre, separato da Genova per un intero mese. Nonostante ciò avevo notizie fresche di quanto accadeva nella Superba attraverso il nostro Giornale e con estrema meraviglia ho notato quanti siano i foresti come me che amano questa nostra povera, insultata ed offesa città.

Il secondo conflitto mondiale era terminato da poco ed i vincitori, ritenendo di aver fatto pochi danni, decisero di creare altre rovine dividendo e regalando territori non loro a chi non li meritava. Tracciarono a matita alcune linee su carte geografiche e noi Istriani venimmo regalati, assieme ai nostri averi, alla Jugoslavia del famigerato Tito o, come veniva chiamata allora: Federativna Narodna Republika Jugoslavija e noi abbandonammo le nostre città e quanto possedevamo e ci spargemmo in giro per il mondo. L’Italia ci ignorava ed i comunisti italiani, oltre a complicarci la vita, ci odiavano. Venimmo trasformati dall’oggi al domani in esuli fuggiaschi, e ci trovammo improvvisamente immiserati. Possedevamo solamente quanto portavamo addosso mai, fortunatamente, vivi ed uniti.

La mia destinazione sarebbe dovuta essere, come per una grande moltitudine di altri profughi, un campo I.R.O. (International Refugee Organization) nel meridione d’Italia ma, per puro caso, dopo un periglioso viaggio, arrivai a Genova. Oh! Quanto tempo è passato da allora. Doveva essere una breve sosta prima di balzare verso nuovi luoghi ma, nonostante l’ostilità degli indigeni, la città piacque molto decidemmo di fermarci. Almeno per un po’. Genova guarendo dalle gravi ferite causate da una orribile guerra appena terminata stava risorgendo adagio, adagio. Il porto, le industrie e Genova stessa proponevano in tutta la loro vastità i danni subiti e le macerie accatastate testimoniavano quanto accaduto. La città era ancora molto piccola. Circonvalmonte segnava il confine verso le colline che, brulle, iniziava ad ingolosire i costruttori che le avrebbero in pochi anni deturpate, impuniti, con orribili costruzioni. Insomma: Genova si stava svegliando da un torpore secolare facendosi male da sola.

La popolazione mugugnona ma alacre lavoratrice si era organizzata nel compiere miracoli e riusciva molto bene nella ristrutturazione e nel rinnovamento della città che tentava di risorgere. Le officine portuali, oberate dal lavoro, intervenivano su scafi di navi danneggiate dalla guerra che, in attesa di lavori più o meno urgenti, erano state allineate una accanto all’altro a calata Gadda, mettendo in mostra squarci e danni. I traffici marittimi, nonostante l’imboccatura di levante del porto fosse parzialmente ostruita da scafi affondati dai germanici negli ultimi giorni di guerra, aumentavano ed a Genova arrivava ogni bendiddio. Insomma, ricominciava la normalità e la normalità per noi che avevamo subito oppressioni, violenze inaudite e brutalità da parte dei democraticissimi comunisti slavi ed italiani era ciò di cui avevamo proprio bisogno. Non fu facile ma questi meravigliosi brontoloni genovesi ci compreso ed accettarono. Ci venne offerto lavoro (durissimo, massacrante) e anche la possibilità di completare gli studi. La vita aveva nuovamente uno scopo. Eravamo ritornati alla normalità e con la normalità arrivò anche l’amore. Ed anche in questa in occasione fu proprio il caso a decidere. Avevamo sentito parlare di una società sportiva che nelle giornate festive apriva la palestra alle danze e la cercammo. Si trattava della Rubattino ubicata, se ricordo bene, in via Saluzzo. Eravamo in quattro e prendemmo posto ad un tavolo non molto distante dall’orchestrina che offriva brani musicali orecchiabili. Accanto al nostro tavolo quattro simpaticissime ragazzine con tanta voglia di ballare. Tra queste vi era una biondissima genovesina tutto pepe che mi attraeva molto. Tra ragazzi si fraternizza presto e nacque la più solida delle amicizie. O per lo meno pensavamo fosse tale sino a che non ci accorgemmo che l’amicizia si sta trasformando in sublime amore.

La bellissima ed innamoratissima genovesina ed io ci sposammo nella chiesa di Sant’Antonio di Boccadasse 51 anni fa anche se a noi sembra accaduto ieri. Ben presto arrivarono due figlie e le figlie, al momento opportuno, ritennero giusto regalarci tre nipotini meravigliosi. Una vita felice che la mia vituperata Genova si è pregiata di regalare a me, a mia moglie, alle figlie ed ai nipoti. È strana questa nostra città. Più che Superba può sembrare presuntuosa, immiserita, depauperata, impoverita… Ma quali colpe possiamo addossare ad una città dove da sempre amministrazioni incapaci si susseguono da altre ancora più inette? Colpevolizziamo i cittadini che permettono a tali amministratori di ridicolizzarli.

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