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Il presidente Benussi risponde al Corriere dell’Alto Adige

Il presidente del Comitato ANVGD di Bolzano, Giovanni Benussi, è intervenuto sul quotidiano Corriere dell'Alto Adige, che aveva riportato erroneamente alcune sue dichiarazioni nelle quali definiva le nostre terre d'origine come "ex colonie dell'impero fascista". Il macroscopico errore è stato stigmatizzato dal nostro dirigente così come sotto riportato.

 

Egregio signor Direttore,

Le scrivo in merito ad un articolo comparso sul Corriere dell’Alto Adige di martedì 26 ottobre, che ho avuto modo di leggere soltanto ieri. La giornalista, Diana Benedetti, riporta in modo corretto quanto le esposi in una intervista che mi fece alcuni mesi orsono, riguardante la ormai lunga presenza di istriani, fiumani e dalmati nel nostro territorio, sono rimasto, però allibito quando ho letto che veniamo definiti come migranti dalle ex colonie dell’impero fascista.

Volendo sperare che l’infelice definizione sia frutto d’una mancata conoscenza della storia di quella parte d’Italia che è impossibile definire come colonia e per giunta dell’ex impero fascista, mi permetto di fornire alcuni chiarimenti, perché si possa comprendere quale affronto tale definizione arrechi alla nostra gente, che vanta radici analoghe a quelle di tanti altri cittadini italiani.

Dalle origini la nostra terra era popolata da veneti al nord, da Istri, Liburni, Dalmati e Illiri lungo la costa cui nel 400 a.C. si aggiunsero etruschi e greci.  Dal 177 a.C. l’Istria e la Dalmazia vissero la conquista romana che si consolidò in oltre sei secoli. Fondata Aquileia (Forum Julii) i romani inviarono 15.000 coloni, che istituirono le colonie di Trieste (Tergeste), di Pola (Pietas Julia), i municipi di Parenzo (Parentium), i  vici di Fasana (Fasanum), di Orsera (Ursaria), di Rovigno (Rubinium), di Umago (Humagum), di Nesazio (Nesathium). Costruirono la grande via Flavia che collegò Trieste, Pola e Fiume (Tarsaticum). Nel 27 a.C. Augusto concesse loro la Cittadinanza Romana ed il Senato nello stesso anno divise l’Italia in 11 Regioni istituendo la “Decima Regio Venetia et Histria”, ed il magister militum aveva la sua sede a Pola. Roma lasciò opere nobilissime della sua arte: a Trieste il Colle Capitolino, il Foro ed il Teatro; a Brioni terme e ville; a Parenzo il Palazzo Pretorio ed il Lapidario; a
Pola l’Anfiteatro, l’Arco dei Sergi ed il tempio di Augusto, due teatri la porta d’Ercole (il più antico monumento romano dell’Italia settentrionale del 40 a.C.); a Fiume l’Arco Romano; a Zara il Foro; a Spalato il Palazzo di Diocleziano. Con Teodorico l’Istria passò sotto Ravenna, sorse la basilica eufrasiana di Parenzo ricca di mosaici d’arte ravvennate. Il cristianesimo partito da Aquileia  si diramò attraverso la via Flavia e fondò le diocesi di Parenzo, Pola, Civitanova, Capodistria e Pedena. Pola offrì a Ravenna il santo arcivescovo Massimiano.

Nel 788 i nostri territori passarono sotto Carlo Magno, i Comuni vennero soppressi e si instaurò il feudalesimo sotto il Duca Giovanni.

Gli Slavi tentarono più volte ed invano di insediarsi in Istria: nel 599 a seguito degli Avari, nel 602 a seguito dei Longobardi e nel 611 da soli, comparvero, poi, i primi sparuti gruppi nel IX e X secolo e solo dopo il 1520 raggiunsero una certa consistenza in quanto chiamati con incentivi dai Veneziani per ripopolare il territorio, poiché la peste e le guerre contro i turchi avevano decimato la popolazione, rimanendo, comunque, una minoranza quasi assente dai centri abitati.

Dall’830 al 1797 si svilupparono i rapporti con la Repubblica di Venezia, prima da nemici sconfitti, poi da sudditi irrequieti, poi da amici, per divenire alfine sempre più integrati nella cultura, nell’arte, nelle sventure e nelle vittorie di Venezia.

Dal 1791 al 1981 subimmo il dominio della Monarchia Asburgica, interrotto dal 1806 al 1815 dal Regno napoleonico d’Italia. L’Austria e l’Ungheria si dotarono, così, d’una porta sul Mediterraneo ed adottando la politica del divide et impera cercarono di favorire e sobillare la minoranza slava contro gli italiani, poiché la ritenevano un buon deterrente contro i moti irredentisti.

Dal 1918 al 1945 si ritornò a far parte dell’Italia dopo aver pagato un immenso contributo di sangue nella prima guerra mondiale: 30 caduti ogni mille abitanti rispetto alla media nazionale di 10, con i nostri giovani costretti a passare clandestinamente la frontiera (2.107 giuliani di cui 1.030 ufficiali), rischiando la forca, per arruolarsi nell’esercito italiano ottenendo, assieme ai triestini, ben 26 medaglie d’oro al valor militare.

Voglio solo accennare, poi, alle sofferenze che l’ultima guerra ci arrecò, alle migliaia di morti trucidati dai titini, allo strazio di abbandonare tutto ciò che ci era più caro per essere accolti nella nostra Patria come degli intrusi se non come dei nemici, il vederci, nel ’46, negata la possibilità di ricorrere al diritto all’autodeterminazione dei popoli, previsto in quei principi che passarono alla storia come Carta Atlantica e che vennero promulgati da Roosevelt e Churchill il 14 agosto del 1941, lo scoprire definitivamente perdute, infine, anche quelle poche terre della zona B che dovevano ritornare all’Italia  svendute con l’accordo di Osimo del ’75.

Comprenderà, signor Direttore, quanta amarezza possa aver suscitato in me e nei miei conterranei quell’affermazione, la prego, pertanto, di volere, se lo riterrà opportuno, pubblicare questa mia o, perlomeno, far correggere quell’asserzione “inopportuna”.

Giovanni Benussi, presidente ANVGD Bolzano

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